Curiosity scopre le tracce di antichi fiumi marziani

I canali di Marte di Schiaparelli.
Credit: http://tinyurl.com/bpwtdl2

Marte è sempre stato oggetto di accese discussioni in ambito accademico e scientifico.
Quando ancora i telescopi erano semplici lenti di vetro alle estremità di un tubo ottico, le cui prestazioni oggi farebbero sorridere, si speculava se Marte fosse o meno adatto ad ospitare la vita. Le variazioni cromatiche della superficie, legate all’evoluzione delle stagioni marziane, che oggi sappiamo essere provocate da gigantesche tempeste di sabbia, venivano allora interpretate con l’avanzata e il ritiro della vegetazione marziana in prossimità di mari poco profondi alimentati dalla liquefazione delle calotte polari.
L’astronomo italiano Giovanni Schiaparelli durante l’opposizione del 1877 credette di scorgere delle depressioni rettilinee di 100 – 200 chilometri di larghezza e lunghe migliaia di chilometri sulla superficie marziana e suggerì che potesse essere il mezzo con cui l’acqua liquida raggiungesse le parti più aride del pianeta.
Mentre alcuni scienziati quasi immediatamente rifiutarono questa ipotesi ritenendola – giustamente – il frutto di aberrazioni ottiche o di pareidolia, l’astronomo americano Percival Lowell 1 sposò questa tesi, ipotizzando che addirittura le depressioni scorte da Schiaparelli fossero addirittura di origine artificiale.

Quando le prime missioni spaziali negli anni 60 del XX secolo dimostrarono che il Pianeta Rosso era un arido e immenso deserto, il dibattito si spostò nel tempo: forse Marte un tempo possedeva le condizioni per possedere l’acqua allo stato liquido?

Queste immagini mostrano la sublimazione del ghiaccio nel corso di quattro giorni.
Nell’angolo in basso a sinistra dell’immagine di sinistra, è visibile un gruppo di grumi di ghiaccio. Nell’immagine a destra, i grumi sono evaporati.

Credit: NASA/JPL

Agli inizi del XXI secolo la sonda orbitale Mars Odyssey e la Mars Express scoprirono probabili bacini di ghiaccio d’acqua sotto la superficie marziana e il robot Phoenix confermò la presenza di ghiaccio su Marte con questa sua foto.
Adesso il Mars Scienze Laboratory – per gli amici Curiosity – ha scoperto prove concrete della presenza di antichi corsi d’acqua su Marte
Dopo neanche due mesi di infaticabile studio 2 è arrivato in prossimità di quello che pare un antico letto essiccato di un ruscello e ha fotografato un conglomerato sedimentario 3 simile a quelli che si vedono lungo le rive dei corsi d’acqua.
Le dimensioni e la forma particolarmente arrotondata dei clasti appartenenti al  conglomerato indicano che sono state trasportate per lunghe distanze. Gli scienziati hanno tentato di risalire a informazioni più dettagliate sulle caratteristiche di questo antico ruscello marziano. Al di là dei numeri crudi 4, la notizia importante è che pare che il corso d’acqua non sia stato un episodio stagionale o episodico legato a sporadiche particolari condizioni microclimatiche o geologiche, ma piuttosto a un vero fiume stabile nel tempo.

Questo insieme di immagini a confronto il link affioramento di rocce su Marte (a sinistra) con rocce simili visto sulla Terra (a destra).
Credit: NASA / JPL-Caltech / MSSS e PSI

Il letto di questo antichissimo ruscello si trova vicino al bordo nord del cratere Gale e alla base del Aeolis Mons 5, una montagna all’interno del cratere. Qui una depressione chiamata Peace Vallis dà origine a un bacino alluvionale ricco di tracce , suggerendo così la presenza di flussi d’acqua costanti nel tempo.

Ma per quanto possa apparire quasi un controsenso, il greto di un fiume non è un buon posto per cercare delle tracce organiche che potrebbero non essersi conservate per tutto questo tempo, sicuramente i minerali argillosi e i solfati rilevati dall’orbita attorno alle pendici dell’Aleolis Mons, obiettivo principale del Curiosity. Ne è convinto John Grotzinger del California Institute of Technology di Pasadena e Project Scientist della missione Mars Science Laboratory, che comunque assicura che questa è la prima prova concreta di un ambiente passato potenzialmente adatto alla vita.

Questa immagine mostra la topografia, attorno alla zona in cui il rover NASA è atterrato lo scorso 6 agosto. Le zone più elevate sono colorate di rosso, mentre i colori freddi indicano le quote più basse. L’ovale nero indica l’area di destinazione di atterraggio del rover conosciuto come “ellisse di atterraggio”, e la croce mostra dove il rover è effettivamente sbarcato. Il delta alluvionale,  dove i detriti si estendono nel tratto discendente, è stato evidenziato con colori più chiari per una migliore visualizzazione. Sulla Terra, i delta alluvionali spesso sono formati da acqua che scorre nel tratto discendente.   I I dati dell’elevazione sono stati ottenuti dalla  High Resolution Imaging Science Experiment (HiRISE) della sonda NASA Mars Reconnaissance Orbiter.
Credit: NASA / JPL-Caltech / UofA

 


 

La materia oscura? Forse solo una bolla?

 Nota: il titolo non è corretto ma per ovvi motivi di indicizzazione ormai non può più essere cambiato. In verità non mi è mai neanche piaciuto anche se ormai è così e basta. Il titolo più corretto sarebbe 

La massa mancante? E se fosse in una bolla?

ringrazio chi mi ha fatto notare l’incongruenza del titolo rispetto al breve articolo. non me ne vogliate per questo. Errare humanum est …

La bolla che avvolge la Via Lattea. Bolle simili avvolgono anche le altre galassie.
Credit: NASA / CXC / M.Weiss; NASA / CXC / Ohio State / A Gupta et al

Una enorme  bolla caldissima, tra 1 e 2,5 milioni di kelvin, con un raggio di almeno 300.000 anni luce avvolge la Via Lattea. La massa di questa bolla è paragonabile da sola a tutta la massa della Galassia.
Questo è il risultato di un recente studio sui dati ripresi dal Chandra X-Ray Observatory della NASA, dell’XMM-Newton dell’ESA e il giapponese Suzaku.

Chandra ha osservato otto sorgenti extragalattiche di raggi X distanti centinaia di anni luce misurando l’assorbimento dell’ossigeno in prossimità del disco galattico, consentendo così di stimarne anche la temperatura di questa bolla.

Studi simili hanno dimostrato che bolle simili circondano anche le altre galassie con temperature che vanno tra i 100.000 e 1 milione di kelvin.
Se questi studi verranno confermarti anche da altre ricerche, l’annoso problema della massa mancante potrebbe avviarsi verso una soluzione, ma ancora ancora non basta.


Riferimenti:
http://chandra.harvard.edu/photo/2012/halo/
A huge reservoir of ionized gas around the Milky Way: Accounting for the Missing Mass? ArXiv 16 agosto 2012

La Dichiarazione di Cambridge sulla Coscienza

Fino a quando gli animali avranno i loro narratori, gli umani avranno sempre la parte più gloriosa della storia, e con questo proverbiale concetto in mente, questo simposio affronterà l’idea che gli esseri umani non detengono da soli le facoltà neurologiche che costituiscono la coscienza come è attualmente intesa.

Il poster della Francis Crick Memorial Conference

Con queste parole il 7 luglio 2012 presso l’Università di Cambridge si sono aperti i lavori della prima edizione del Francis Crick Memorial Conference, dove un importante gruppo internazionale di neuroscienziati  e non solo – era presente anche Stephen Hawking – si sono raccolti per rivalutare i substrati neurobiologici della coscienza, dell’esperienza e dei comportamenti correlati negli animali umani e non umani.

Qui gli scienziati hanno affrontato l’eterno dilemma della coscienza e della consapevolezza negli animali non umani 1.
Se negli umani la comunicazione verbale consente di comunicare immediatamente il proprio stato d’animo, il dolore fisico o psichico, le paure e le fobie, in poche parole la consapevolezza di sé, per gli altri animali non è così, o almeno non è così palese come in molti mammiferi o primati.
Per alcuni animali superiori, come il cane, il gatto, il cavallo, ma anche il maiale o l’asino, che da migliaia di anni condividono la loro storia con l’animale umano, non è poi così difficile attribuire un certo grado se non di intelligenza ma almeno di consapevolezza; chiunque abbia un animale domestico intuisce il suo stato d’animo, anche se finora una base scientifica assoluta che lo spiegasse  non esisteva ancora.

 Credit: Julian Finn et al,. Current Biology, 14 dicembre, 2009

Il polpo, che possiede una massa cerebrale consistente per il suo corpo – in pratica tutto il suo corpo è un enorme cervello – e un apparato visivo – l’occhio – sofisticato quasi quanto quello dei vertebrati terrestri più evoluti, possiede certe capacità di apprendimento e ragionamento che si stenta a credere che siano in possesso di una specie acquatica invertebrata che si è evoluta partendo almeno 200 milioni di anni fa 2 . Ad esempio i  polpi hanno mostrato di saper risolvere semplici labirinti, aprire i barattoli e usare creativamente i gusci delle noci di cocco (vedi filmato qui accanto).
Se la leggenda vuole che Napoleone Bonaparte riuscisse a dettare più lettere diverse contemporaneamente, alcuni polpi a loro modo sanno fare qualcosa di simile. Non hanno un linguaggio sonoro come le balene, i delfini o molti vertebrati terrestri, ma sanno cambiare colore. Quello che in origine era un meccanismo naturale di camuffamento  si è evoluto fino ad accogliere anche alcune caratteristiche legate alla comunicazione: alcuni  polpi sono in grado di comunicare contemporaneamente con altri esemplari della stessa specie usando parti diverse del corpo 3.
Quindi vedete che per quanto il suo comportamento denoti un’intelligenza superiore, non è affatto facile comprendere lo stato d’animo di un cefalopode evoluto come il polpo.

Questi ostacoli però non hanno fermato la ricerca scientifica sulla coscienza/consapevolezza.
In questo campo sono state sviluppate negli ultimi anni nuove tecniche e strategie per la ricerca su animali umani o non umani. Di conseguenza i nuovi dati disponibili impongono una riflessione su molti preconcetti passati.
Molti studi su animali non umani hanno mostrato che nel loro cervello esistono circuiti simili a quelli umani che sono correlati con l’esperienza conscia e la percezione. I substrati neurali delle emozioni non sembrano essere limitati alle strutture corticali. Le stesse reti neurali sottocorticali responsabili dell’affettività negli esseri umani sono importanti per i comportamenti emotivi negli animali. Se eccitate artificialmente le stesse zone del cervello generano lo stesso comportamento corrispondente e gli stessi stati emotivi sia negli esseri umani che negli altri animali.
Ma le similitudini  cerebrali fra le varie specie animali non si fermano qui: anche meccanismi come il sonno/veglia e attenzione 4, il meccanismo di punizione/premiazione, la memoria o l’apprendimento sono sorprendentemente simili tra le varie forme di vita di questo pianeta, e appunto molti degli stessi meccanismi si ritrovano anche negli uccelli o negli invertebrati come appunto i cefalopodi.

Questo porta a ipotizzare che la capacità di elaborazione propria del cervello si sia evoluta insieme alla vita animale stessa e che molte caratteristiche neurali finora considerate  tipiche dei primati e dei mammiferi e ritenute residenti nella neocorteccia in realtà siano molto più primitive e antiche di quanto fino ad oggi si fosse supposto.

Tutto questo ha portato gli scienziati riuniti a Cambridge a promulgare questa Dichiarazione della Coscienza che estende molte delle caratteristiche ritenute tipicamente umane anche agli animali 5.
E anche se questa dichiarazione per qualcuno può sembrare la conferma della banalità e per altri solo il tentativo di abbassare l’essere umano allo stesso livello degli animali, io credo che debba essere letta in una chiave ancora diversa: quella che apparteniamo tutti a una grande famiglia interconnessa nei modi più impensati e preziosi, finalmente la presa di coscienza da parte dell’animale umano che anche gli altri animali sanno amare e soffrire in egual modo e che deve avere per lo loro lo stesso riguardo che ha per sé stesso.


Altri riferimenti:
Cephalopod intelligence, Wikipedia (eng).

Oppy scopre alcune misteriose sfere marziane

Sfere misteriose su Marte

Utilizzando la sua Microscopic Imager, Opportunity ha fotografato questi piccoli oggetti sferici il 6 settembre 2012. La vista si estende su una superficie di circa 2,4 cm di diametro ad un sperone chiamato “Kirkwood” sul bordo occidentale del cratere Endeavour.

Mentre tutti gli occhi del mondo sono puntati sulle gesta del rover Curiosity, il piccolo e longevo rover Opportunity ha restituito un’immagine della superficie di Marte che ha lasciato sconcertati i ricercatori.

L’immagine riprende  un affioramento chiamato Kirkwood sul bordo occidentale del cratere Endeavour e mostra misteriosi oggetti sferici che differiscono in diversi modi dalle sferule ricche di ferro soprannominate mirtilli 1 che Oppy aveva scovato all’inizio del 2004 presso il suo sito di atterraggio.
Queste sferule misurano circa 3 millimetri di diametro. L’analisi, ancora preliminare, indica che queste sfere non hanno un alto contenuto di ferro come i mirtilli marziani.

“Questo è uno dei quadri più straordinari di tutta la missione”, ha detto il ricercatore principale della missione Opportunity, Steve Squyres della Cornell University di Ithaca, NY,  “Kirkwood è pieno zeppo di questi piccoli oggetti sferici. Naturalmente, abbiamo subito pensato ai mirtilli, ma questo è qualcosa di diverso. Non abbiamo mai visto un tale accumulo denso di sferule in uno sperone di roccia su Marte. ”
“Sembrano essere croccanti fuori e morbide dentro”, ha detto Squyres. “Sono diverse nella loro concentrazione. Sono diverse nella struttura. Sono diverse nella composizione. Sono diverse nella distribuzione. Quindi, abbiamo un puzzle geologico di rara bellezza di fronte a noi. Stiamo studiando diverse ipotesi e non abbiamo nessuna ipotesi preferita in questo momento. Quindi l’unica cosa da fare ora è mantenere una mente aperta. “


 

Energia oscura e anisotropia nella radiazione cosmica di fondo

Sono passati almeno 15 anni da  quando è stato scoperto che il nostro Universo subisce una spinta repulsiva che lo sta accelerando, ossia che le sue dimensioni, contrariamente a quanto si era finora supposto, crescono più di quanto la spinta iniziale del Big Bang e al contrario la reciproca attrazione della materia che lo frena possano spiegare.

le varie ipotesi evolutive dell’Universo.
Credit: Il Poliedrico

Nel giugno scorso parlai di un tema particolarmente scottante in cosmologia 1: l’accelerazione dell’espansione dell’universo.
Questo è un fenomeno inflattivo che fu scoperto alla fine del XX secolo e che finora è stato spiegato soprattutto facendo ricorso a una misteriosa energia oscura spiegata prevalentemente in vari modi:
come costante cosmologica, quindi integrata nella natura stessa del tessuto dell’Universo e indicata con la lettera lambda Λ e valore repulsivo fisso wq = −1, o come quintessenza, ovvero una quinta forza fondamentale della natura 2 che può assumere una natura attrattiva o repulsiva a seconda del rapporto tra energia cinetica ed energia potenziale nell’universo.

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Tabella 1

Stando alle teorie della quintessenza, questa divenne repulsiva – ossia cambiò stato come l’acqua diviene ghiaccio a 0° C. – circa 10 miliardi di anni fa a seguito dell’espansione iniziale dell’Universo.
Qui i valore repulsivo della quintessenza varia col variare delle condizioni locali nell’universo, ovvero questa avrà valori diversi tra i super ammassi di galassie dove la materia è concentrata e gli spazi di vuoto che li separano, come una ragnatela e soprattutto, come è ovvio, il suo valore cambia nel tempo.

Un team di astronomi dell’università di Portsmouth – R. CrittendenR. NicholA. J. Ross  –  e dell’università Ludwig Maximilians di Monaco di Baviera – T. Giannantonio – ha riproposto uno studio del 2008 3 4 sui dati del satellite Wilkinson Microwave Anisotropy Probe (WMAP) riguardante l’effetto Sachs-Wolfe integrato 5.
Questo nuovo studio 6 tiene conto di nuovi dati e nuovi metodi di indagine per venire incontro alle obiezioni sollevate dagli altri cosmologi 7 che sostanzialmente però non mutano il quadro emerso dalla precedente ricerca che conferma un valore specifico per il modello Lambda-CDM pari a w = −1 per redshift superiori  a 1.

L’effettto Sachs-Wolfe integrato.
Credit: Istituto di astronomia dell’Università delle Hawaii

Fu proprio R. Crittenden insieme a  Neil Turok nel 1996 a proporre di cercare nell’anisotropia secondaria della radiazione cosmica di fondo le prove della presenza di energia oscura nell’Universo 8 9.
I fotoni della CMB inizialmente isotropi avrebbre risentito dell’influenza gravitazionale delle grandi concentrazioni di materia diventando ovviamente leggermente più freddi per effetto della curvatura dello spazio locale ma avrebbero acquistato più energia (effetto blueshift) riscaldati dalla stessa materia autrice della curvatura. Questi due effetti in assenza di energia oscura si controbilancerebbero quasi esattamente – si devono comunque  tener conto anche di altri effetti come la focalizzazione gravitazionale, l’effetto Sunyaev-Zel’dovich etc. – ma l’energia oscura che dilata lo spazio consentirebbe alla CMB rilevata di avere un’impronta energetica leggermente più alta là dove le concentrazioni di massa l’hanno riscaldata.
Quindi la presenza di energia oscura si potrebbe rilevare confrontando le concentrazioni di materia conosciute nell’universo locale con le impronte delle fluttuazioni della CMB.
E in effetti importanti correlazioni pare che ci siano, tanto che il team di Portsmouth e Monaco parla che il  99,996% di queste sia da imputarsi all’energia oscura.

Comunque sia, il capitolo Energia Oscura non è affatto finito.  Il team di Crittenden si dice sicuro dei risultati ma manca la verifica di altri gruppi di ricerca e l’immancabile controrisposta dei cosmologi scettici. Ma soprattutto com’è fatta questa Energia Oscura?


Altri riferimenti:
http://www.ras.org.uk/news-and-press/219-news-2012/2167-dark-energy-is-real-say-portsmouth-astronomers

http://www.ifa.hawaii.edu/cosmowave/supervoids/

 

Primo contatto e xenofobia antropocentrica

First Contact by *GrahamSym
Digital Art / Fractal Art / Raw Fractals ©2012

L’altro giorno un loquace Martin Rees 1, presidente della Royal Society, annunciava che entro pochi anni – il 2025 – saremmo stati in grado di osservare altri pianeti al di fuori del sistema solare. Queste possibilità potrebbero portare a scoprire una qualche forma di vita su di essi.
Oggi sento  invece che alcuni gruppi di fanatici fondamentalisti religiosi musulmani hanno ucciso l’ambasciatore americano in Libia come risposta a un pessimo film che gira in Rete con l’ardire che è blasfemo per la Religione Musulmana e il Profeta Maometto.

Questi fatti completamente slegati fra loro però mi fanno pensare.
Nulla mi renderebbe più felice che annunciare su queste pagine la notizia della scoperta di altre forme di vita extraterrestri, anche se queste fossero dei piccolissimi batteri. Significherebbe che il Cosmo non è davvero uno spreco di spazio 2, il sogno di una vita, la mia, e quello di migliaia di generazioni umane che hanno rivolto gli occhi al cielo e immaginato altri mondi abitati domandandosi se davvero erano soli sulle sconfinate rive del Cosmo, che si avvera.
Come verrebbe letto l’annuncio che non siamo soli nell’Universo dai barbari fondamentalisti che infestano tutte le religioni? Quale Sacra Scrittura, Torah, Bibbia o Corano tiene conto della non unicità della Vita, se non quella sulla Terra?

Guerra dei trent’annni, Battaglia della Montagna Bianca

Se una miope interpretazione di una qualsiasi Sacra Scrittura spinge ad uccidere nel nome di Dio come è accaduto in Europa negli ultimi mille anni, se in nome delle religioni si sono combattute guerre, massacrato popoli e assassinato persone innocenti, come ultimo l’ambasciatore americano Chris Stevens, cosa succederà quando verranno scoperte altre forme di vita al di fuori di quelle elencate dalle Sacre Scritture?
E se dovessimo scoprire altre forme di vita intelligente? Come si concilierebbero queste scoperte con le interpretazioni squisitamente antropocentriche della vita?
Non posso non pensare all’ondata di xenofobia fondamentalista che potrebbe travolgere la nostra civiltà se prima non impariamo a controllare i fenomeni fondamentalisti che scuotono troppo spesso le nostre società, dai Creazionisti che ancora credono che il mondo sia stato creato il 23 ottobre del 4004 a.C. verso l’ora di pranzo 3, ai fanatici religiosi che si fanno esplodere in un supermercato, o alle nazioni che si macchiano di genocidio in difesa della propria supremazia spirituale, politica o economica.

Una vittima innocente della tracotanza umana del XXI secolo a Gaza

Spesso in qualche dibattito accademico viene portato come confronto l’esperienza delle diverse società umane quando queste sono venute in contatto, come gli inglesi nel continente nord americano e gli spagnoli in Sud America: tutte le civiltà tecnologicamente inferiori sono state decimate e assorbite da quelle più forti.
Questo è un possibile rischio di quello che potrebbe accadere anche alla nostra civiltà tecnologicamente più arretrata casomai riuscissimo ad avere un Primo Contatto con una civiltà extraterrestre, non importa se solo attraverso le onde radio o impulsi di luce collimata o solo per la scoperta di un qualsiasi artefatto non umano; l’importante è scoprire che il genere umano non sia l’unica forma di vita senziente dell’Universo.
In questo caso credo che invece il pericolo più grande sia insito in noi, nella nostra gretta smania di superiorità antropocentrica e nel nostro modo di affrontare l’ignoto: quello  che non capiamo lo sbertucciamo, poi lo denigriamo e poi lo annientiamo, esattamente come abbiamo sempre fatto in tutto l’arco della storia umana. Il vero pericolo è dentro di noi.


PTF 11kx, un mistero da risolvere

PTF 11kx è il puntino blu in questa galassia a 600 milioni di anni luce di distanza.
Credit: BJ Fulton (Las Cumbres Osservatorio in rete Telescope Globale)

Le supernovae di tipo Ia sono degli ottimi indicatori di distanza su scala cosmica 1. È merito delle loro esplosioni se è stato possibile capire quanto sia enorme il nostro Universo.
Eppure di tutte le supernovae finora osservate non ce n’era una di cui si possedesse qualche indizio sul sistema progenitore, tutto era basato sull’intuizione teorica. Finora …
Infatti i ricercatori del Palomar Transient Factory, attraverso un complesso sistema di allerta computerizzato collegato al telescopio robotizzato Samuel Oschin da 120cm è riuscito a cogliere indizi sul sistema che ha dato origine alla supernova PTF 11kx.

 PTF 11kx è una supernova di tipo Ibis esplosa in una galassia a 600 milioni d anni luce (z = 0.04660) di distanza nella costellazione Lince 2 scoperta il 16 gennaio 2011.
Quando fu scoperta, la supernova mostrava strane righe del calcio il che è abbastanza insolito, tanto che i ricercatori del PTF allertarono subito i loro colleghi dell’Osservatorio Keck alle Hawaii.

PTF 11kx
Credit:astro.berkeley.edu

Presto gli astronomi del Keck si accorsero che il guscio di polveri attorno alla supernova responsabile delle righe di assorbimento del calcio era troppo lento per essere prodotto da una esplosione di supernova ma troppo velocemente per essere frutto del semplice vento stellare.
L’unica spiegazione plausibile era che questo guscio avesse avuto origine da una nova preesistente a PTF 11kx e che stesse rallentando quando fu investito dall’esplosione di supernova.
Nei giorni successivi il segnale del calcio stava scomparendo, quando 58 giorni dopo rieccolo apparire, sintomo evidente che i gusci concentrici erano evidentemente più di uno.
A questo punto era chiaro che il progenitore di PTF11kx era un sistema binario composto da una nana bianca e una supergigante rossa.

Altri studi non sono mai stati conclusivi sui sistemi progenitori di supernova. Una delle supernovae più precoci mai avvistate nonché  la più vicina Ia dal 1972, SN 2011fe, o se preferite PTF 11kly visto che fu scoperta dallo stesso team della nostra eroina e con gli stessi mezzi,  non ha mostrato particolari segnali che potessero dirci quali erano le condizioni fisiche preesistenti al momento dell’esplosione, ponendo limiti assai restrittivi sui possibili sistemi originari 3

PTF 11kx è un bel rompicapo: a un sistema binario come quello ipotizzato dagli astronomi non è insolito produrre più eruzioni di nova: nella nostra Galassia abbiamo RS Ophiuchi a non più di 5000 anni luce che lo fa abbastanza spesso (6 volte negli ultimi 114 anni, l’ultimo nel 2006) e sappiamo bene come funziona: una nana bianca sottrae materia dalla sua compagna gigante rossa per effetto mareale; la materia forma quindi un disco di accrescimento intorno alla nana bianca finché in un punto non si raggiungono temperature e densità tali da innescare una fusione nucleare. l’esplosione susseguente disperde il disco di accrescimento e il ciclo si ripete.
Quindi c’è da chiedersi come questa volta si sia potuto accumulare tanta materia fino al limite di Chandrasekhar di quasi 1,4 masse solari nel sistema progenitore fino a produrre una supernova.

Un mistero che se risolto potrebbe svelarci ancora molte cose sulle origini delle Candele Cosmiche.

Tre piccoli fotoni svelano la natura dell’Universo

Tanto tempo fa in una galassia lontana lontana …

… tre piccoli fotoni gamma – di quelli che vengono prodotti dal collasso di una stella molto grande – partirono per un lungo viaggio attraverso le sterminate praterie cosmiche promettendosi di non perdersi mai di vista …

Tre piccoli fotoni in vacanza 🙂
Credit: Il Poliedrico

Il viaggio dei tre fotoni è durato oltre 7 miliardi di anni, e per quanto sembri banale, ci ha svelato molte cose sulla natura del Cosmo che neppure il più sofisticato acceleratore di particelle probabilmente potrebbe mai dirci 1.

Ma facciamo un passo indietro.
Einstein e la sua Relatività Generale ci hanno spiegato che lo Spazio e il Tempo sono in realtà un’unica cosa e che la materia curva questo tessuto sotto il suo peso a qualsiasi scala la si guardi.
Al contrario, la Meccanica Quantistica ci spiega che a scale molto piccole come la scala di Panck – un  miliardesimo di miliardesimo del diametro di un elettrone.  – il tessuto dello spazio-tempo non è lineare come vuole la Relatività Generale ma diventa indistinto e spumoso con 5, 6 7 dimensioni strettamente arrotolate su sé stesse, fino a 15 o 20 per alcune teorie quanto-relativistiche.
È infatti questo il vero scoglio che rende inconciliabili la Relatività Generale e la Meccanica Quantistica: il modo di descrivere il tessuto dello spazio-tempo.

Diversi anni fa un brillante ricercatore italiano, Giovanni Amelino-Camelia, fisico teorico alla Sapienza di Roma, propose di un interessante modo di indagare nell’infinitamente piccolo: guardare verso l’infinitamente grande.
Il concetto di fondo è che gli effetti microscopici possono essere misurati più facilmente su scale macroscopiche. Ad esempio gli effetti microscopici del tessuto dello spazio-tempo sui nostri tre fotoni dovrebbero, per effetto dell’enorme viaggio percorso, essere amplificati fino a renderli rilevabili con gli strumenti oggi a disposizione.
In pratica, la luce si dovrebbe disperdere in diversi colori mentre compie il suo viaggio attraverso l’universo dal tessuto dello spazio, così come si diffonde nelle diverse lunghezze d’onda quando passa attraverso la struttura cristallina di un prisma.

 Nel maggio 2009 il Fermi Gamma Ray Space Telescope intercettò uno di questi lampi gamma registrando appunto i nostri tre piccoli fotoni.
Robert Nemiroff 2  astrofisico presso il Michigan Technological University, ha esaminato questi dati scoprendo appunto le tracce del passaggio dei tre quanti ad altissima energia – oltre 1 Gev, due all’interno dello stesso millisecondo, e un terzo ad appena un altro millisecondo dietro ai primi due.
Ora è improbabile che i fotoni siano stati emessi da lampi gamma diversi o da tempi diversi dello stesso fenomeno, per cui è ragionevole credere che i tre siano stati generati simultaneamente dallo stesso fenomeno, pertanto questi hanno percorso 7 miliardi di anni luce senza venire dispersi o diffusi dalla materia ordinaria – che ne avrebbe inevitabilmente alterato l’impronta energetica – percorrendo liberamente tutto lo spazio tra la Terra e la sorgente.
E questo è esattamente il tipo di radiazioni che il fisico italiano proponeva di cercare e studiare.

I risultati di Nemiroff pubblicati su Physical Review Letters 3 pongono un limite agli effetti dispersivi dello spazio dovuti alla schiuma prevista dalle teorie della Relatività Quantistica fino a energie e scale prossime alla massa di Planck.
Un limite che una futura Teoria del Tutto non può non tenerne conto.
A meno di incredibili coincidenze, ecco come tre piccoli fotoni possono aiutare a capire la natura più intima dell’Universo.


Altri riferimenti:

 

Un breve attimo di notorietà

Umby

Non sono molte le occasioni per chi come me ama parlare di scienza apparire su una rivista nazionale con un suo modesto lavoro.
Vi ricordate gli articoli sul Labeled Release Experiment 1  apparsi intorno aprile su questo Blog e poi culminati con l’intervista a Giorgio Bianciardi, ricercatore dell’Università di Siena 2?

Ebbene questa intervista – in versione quasi integrale – è stata ripresa e pubblicata (col mio consenso, si intende) su un’importante intervista astronomica nazionale, Coelum 3.
Tutto questo è per me naturalmente motivo di orgoglio, sarebbe sciocco da parte mia non ammetterlo. Ma è un risultato che devo unicamente a Voi Lettori che continuate a seguirmi e che mi sprona ancora di più nel mio modesto compito di divulgazione.