Nubi nottilucenti, le foto

Credit: I. Dinsbergs from Pape, Latvia on 2012, June 13-14.

Vi ricordate l’articolo del novembre scorso Le nubi nottilucenti e il buco nell’ozono artico?
Lì spiegavo quali possono essere i possibili meccanismi che sono alla base delle nubi mesosferiche, particolari nubi che si formano tra i 50 e i 70 chilometri di quota, anche se non è infrequente che si osservino anche a quote ben più elevate, fino agli 85 – 90 km!
Finora la loro presenza era limitata ai cieli polari, da qui la dizione inglese Polar Mesospheric Clouds, ma questo termine appare quanto mai superato visto che oramai le nubi nottilucenti sono state osservate a latitudini molto più basse, perfino a Bologna 1.

Adesso su Spaceweather  a questo indirizzo è possibile vedere tantissime  foto giunte da ogni parte del mondo a queste sfuggenti nubi, così che sappiate farvi un’idea di cosa cercare in cielo mezz’ora dopo il tramonto (o mezzz’ora prima dell’alba).

Teoria del Tutto e la fine del Tempo

Abbiamo visto in passato 1 che le stime della materia barionica presenti nelle galassie erano fortemente sottostimate, mentre adesso forse è il caso di interpretare in maniera diversa i dati che richiedono l’apporto della misteriosa Energia Oscura per spiegare l’attuale stato dell’Universo.

 

Nella vita quotidiana non ci facciamo quasi caso: il Tempo esiste e scorre in una unica direzione, al contrario delle altre tre dimensioni spaziali, altezza lunghezza e profondità, che però possiamo esplorare avanti e indietro a piacere.
Nei secoli il concetto di tempo immutabile si è talmente radicato nel sentire comune che quando arrivò Minkowski nel 1908 con la sua idea di spazio e di tempo indissolubilmente legati e che il tempo è uguale solo per sistemi inerziali uguali (a riposo reciproco) ben pochi comprendesero immediatamente ciò che questo assioma volesse dire.

Negli anni 20 del secolo scorso Edwin Hubble si accorse che le altre galassie più erano lontane, più si allontavano velocemente da noi. Siccome guardare lontano nello spazio significa anche guardare indietro nel tempo,  è come se lo spazio tra le galassie aumentasse in proporzione alla loro distanza: in altre parole lo spazio-tempo si espande 2.
Un esempio che mi piace fare 3 è quello del panettone che lievita: se la distanza relativa fra due canditi è inizialmente piccola, lo rimarrà in proporzione anche dopo la lievitazione, mentre due chicchi opposti vedranno la loro velocità di allontanamento aumentare proporzionalmente.

Credit: Il Poliedrico

Successivamente nel 1998 due gruppi di ricerca indipendenti 4 misurando con precisione la distanza delle supernove Ia 5.
Questi team scoprirono che le supernovae distanti appaiono meno luminose del previsto e siccome delle supernove Ia è ben nota la luminosità assoluta, questo significa che esse sono trascinate a distanze inaspettatamente grandi da una accelerazione imprevista dai tradizionali modelli cosmologici.
Un po’ come se il lievito del nostro panettone alla fine invece che di smorzarsi e infine cessare,  prendesse ancora più forza durante il processo  di lievitazione e il nostro panettone  aumentasse di volume sempre più in velocemente.
Fino ad allora si era supposto che la gravità della materia nell’Universo avrebbe infine preso il sopravvento sulla spinta espansiva del Big Bang o che si sarebbe espanso per sempre 6.
Per cercare di spiegare questo bizzarro comportamento dell’Universo – peraltro evidenziato anche da altre prove come Le emissioni X negli ammassi di galassie e nella asinotropia della radiazione cosmica di fondo,  i cosmologi hanno fatto ricorso a una qualche forma di energia associata al vuoto che domina sulla dinamica gravitazionale dell’Universo; una sorta di costante cosmologica del vuoto di natura repulsiva, ovvero una specie di antigravità.
Questa è la famosa energia oscura, che per spiegare l’accelerazione cosmica a cui stiamo assistendo le si deve attribuire circa il 74% della massa-energia di tutto l’Universo e che – curiosamente –  non interagisce affatto con tutte le  forze fondamentali eccetto la gravità..

Ovviamente poi occorre spiegare quindi cosa sia l’energia oscura, e qui ci sono un paio di teorie interessanti che mi propongo di approfondire in futuro: una di queste – è anche la più gettonata tra i cosmologi – fa riferimento a una presunta energia del vuoto di natura repulsiva, una nuova costante fisica indicata con la lettera lambda (Λ) 7 i cui effetti sono percepibili solo su scala cosmologica e un’altra teoria – il cui nome ha un che di alchemico – chiamata della quintessenza, basata invece sul concetto scalare dell’energia del vuoto che assume aspetti diversi – repulsivi o attrattivi – a seconda delle condizioni fisiche presenti nelle diverse condizioni locali dell’Universo.
Poi  ci sono anche altre teorie che cercano di spiegare l’accelerazione dell’Universo osservato, ma nessuna – anche queste due precedenti –  è del tutto soddisfacente o esente da contraddizioni.

Una di queste tenta di spiegare l’accelerazione dell’Universo  senza far  ricorso a costanti cosmologiche o a campi scalari repulsivi.
Questa idea fu presentata nel 2007 dai cosmologi spagnoli José Senovilla, Marc Mars e Raül Vera  8 9 e riprende alcuni lavori precedenti  10 11. Questa nuova teoria è basata sulle teorie TOE 12 e propone che la geometria del nostro Universo stia  per cambiare stato: da una geometria di Lorentz 13 a una geometria unicamente euclidea.
La conseguenza di questa transizione è che l’accelerazione cosmica osservata – e finora spiegata con l’ingombrante concetto di energia oscura – in realtà è dovuto unicamente al tempo che sta rallentando, per cui quello che noi oggi percepiamo in realtà è dovuto al tempo che scorreva più velocemente nel passato rispetto a quello attuale.
Questo porta conseguentemente a due importanti conclusioni: la prima – e più ovvia – è che il tempo – e quindi lo spazio – possa cessare in un lontano futuro, l’altra – e più sottile – è che il tempo possa essere considerato come energia nata col Big Bang che man mano si scarica, proprio come una pila.

Le domande – e le obiezioni – che questo diverso approccio al problema della accelerazione dell’Universo che osserviamo sono tante, forse più del problema che tenta di risolvere.
In un modo o nell’altro le nostre leggi fisiche hanno a che fare con il concetto di tempo, le nostre costanti fisiche allo stesso modo hanno bisogno di un tempo ben definito per esprimersi, come ad esempio la velocità della luce.
Forse però il concetto di tempo vettore è troppo ….


Decreto Sviluppo, non è oro tutto quello che luccica.

Non ho molta fiducia sul nuovo Piano di Sviluppo proposto dal governo italiano.  Anche se apparentemente sembra che qualcosa si stia muovendo nella giusta direzione, molto è solo fumo negli occhi.

Il fondo per la crescita sostenibile – Il decreto provvede a riordinare il fondo speciale rotativo sull’innovazione tecnologica, denominandolo Fondo per la crescita sostenibile, abrogando 43 norme di agevolazione alle imprese. Al nuovo Fondo affluiranno gli stanziamenti iscritti al bilancio e non utilizzati e le somme restituite o non erogate a seguito di revoche ai sensi delle leggi di incentivazione abrogate, così come le risorse di competenza del ministero dello Sviluppo già depositate presso la Cassa depositi e prestiti (Cdp). “Si andranno in questo modo a recuperare circa 650 milioni di euro nel 2012, più altri 200 milioni negli anni successivi”, dice il governo. Saranno rese disponibili anche le risorse del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca (Fri) istituito presso Cdp stimabili in circa 1,2 miliardi di euro.

Il capitolo offshore Il decreto stabilisce una fascia di rispetto unica e più rigida, per petrolio e per gas, passando dal minimo di 5 miglia alle 12 miglia dalle linee di costa e dal perimetro esterno delle aree marine e costiere protette, per qualunque nuova attività di prospezione, ricerca e coltivazione. Sono fatti però salvi i procedimenti concessori in materia di idrocarburi off-shore che erano in corso alla data di entrata in vigore del cosiddetto correttivo ambientale, il decreto legislativo 128 del 2010 varato dopo il disastro ambientale causato dalla piattaforma petrolifera Deepwater Horizon nel Golfo del Messico. Viene poi creato un fondo per le attività di salvaguardia del mare e di sicurezza delle operazioni offshore finanziato attraverso l’aumento delle royalties per le estrazioni in mare (dal 7 al 10% per gas e dal 4 al 7% per petrolio).

Fonte: SkyTG24

Proprio nel precedente articolo neppure troppo velatamente accusavo il governo italiano di non impegnarsi verso l’adozione di misure politiche ed economiche che le varie associazioni ambientaliste chiedono da tempo per il paese.  E subito dopo, il testo per lo Sviluppo Economico 1 approvato dal governo – a parole – mi smentisce.
Di questo avrei dovuto essere comunque contento, perché vuol dire che le voci di chiede giustamente un piano di sviluppo che tenga conto anche del risparmio energetico e delle energie rinnovabili alla fine sono state ascoltate, ma dopo averlo letto ….

Ad esempio di un riordino della delibera Cip6 2 che avrebbe potuto liberare risorse importanti verso le energie rinnovabili, non c’è traccia.
Ancora molto si punta sugli idrocarburi travestiti da biocarburanti invece che puntare coraggiosamente verso una loro progressiva alienazione incentivando forme diverse di trasporto, fluviale, marittimo, su rotaia etc. piuttosto che su gomma.
Poi viene il capitolo delle esplorazioni e  trivellazioni petrolifere offshore.
È vero che il limite per le attività offshore viene uniformato a 12 miglia nautiche dalla linea di costa per qualsiasi gamma di combustibili fossili, ma solo per quelle future!
Infatti stabilisce che tutti i progetti che erano stati fermati dal decreto legislativo n. 128/2010 successivo all’incidente della piattaforma Deepwater Horizon nel Golfo del Messico del 2010 3 possono riprendere la loro attività, questo per impedire che le varie compagnie possano avanzare richieste di risarcimento  allo Stato italiano per la revoca degli affidamenti fatta ad investimenti in
corso, ma poi invece si scopre che nell’ambito delle licenze già rilasciate « … possono essere svolte, oltre alle attivita’ di esercizio, tutte le altre attivita’ di ricerca, sviluppo e coltivazione di giacimenti gia’ noti o ancora da accertare, consentendo di valorizzare nel migliore dei modi tutte le risorse presenti nell’ambito dei titoli stessi.», ossia chi possedeva una licenza di esplorazione e/o di trivellazione prima del maggio 2010 può riprendere tranquillamente la sua attività e farne delle altre con la scusa che sono parte di un progetto già esistente.

Come spesso si scopre le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni e infatti anche qui il diavolo sta nei dettagli, questo decreto malgrado le apparenze non punta verso un’economia ambientalmente sostenibile, proprio quando ce ne sarebbe stata più l’occasione.


Biodiversità ed ecosostenibiltà per salvare il mondo

In questi giorni sul Web è tutto un fiorire di annunci roboanti del tipo “La Terra al collasso climatico …” e così via. Così sono andato a vedere cosa ci sia dietro, visto che in nome del professore citato non mi era sconosciuto.
È vero, l’allarme che lancia il professore californiano è concreto come più volte anche io denunciato su queste pagine in tempi di certo non sospetti, mo non è nuovo né tanto meno indica la fine del mondo, ma probabilmente per questo è ben più traumatico che aspettarsi più o meno passivamente l’Apocalisse.
È giunto il momento di rimboccarci le maniche tutti, ora e subito, e cercare di cambiare drasticamente il nostro stile di vita, dobbiamo imparare a vivere in punta di piedi sul nostro pianeta dove finor marciavamo con gli anfibi.

Antony D. Barnosky

Chi ha letto veramente qualcosa di Anthony D. Barnosky sa che non è nuovo nel lanciare l’allarme – peraltro giustificato – sui concreti rischi che l’eccessivo sfruttamento delle risorse planetarie a opera dell’uomo ha sulla civiltà umana.
Barnosky è professore di biologia integrativa  presso l’università della California e autore del libro Heatstroke, uscito nel 2009.

Già in quel suo libro – e in molte altre sue pubblicazioni scientifiche 1 – Antony Barnosky cercava già allora di spiegare come l’attività umana sia – in gran parte – responsabile del Riscaldamento Globale che sta modificando in modo radicale e imprevedibile l’intero ecosistema planetario.
Nell’immaginario collettivo il riscaldamento globale è subito associato ai ghiacciai artici che scompaiono, ai sempre più violenti fenomeni atmosferici 2 etc., ma esiste anche un altro aspetto che in genere viene dimenticato: la minaccia alla biodiversità.

La realtà del riscaldamento globale significa che la natura così come lo conosciamo – le specie che amiamo, i servizi degli ecosistemi che ci sostengono, i luoghi selvatici dove cercare conforto – è sotto assedio come è mai accaduto prima. Oltre ad aggiungere il  peso di altre minacce ecologiche a lungo riconosciute, il riscaldamento globale sta influenzando la natura in forme prima inimmaginabili e potenzialmente letali, non solo per le innumerevoli specie, ma per interi ecosistemi.
È scoraggiante cercare di salvare la natura  in queste circostanze, sapendo che può essere alla nostra portata se agiamo adesso.
Dovremmo rallentare le emissioni di gas a effetto serra e attuare nuove filosofie di conservazione e politiche che riconoscono che noi, insieme a tutte le altre specie viventi viviamo in un mondo globale.

Nature in   the hot seat,  Antony  D. Barnosky

Barnosky ricorda nel suo libro come possa essere più probabile che il cambiamento climatico spazzi via interi gruppi di specie viventi che riesca a crearne di nuovi. Molte specie animali e vegetali che si sono evolute nel corso di centinaia di migliaia di anni seguendo sempre  gli stessi ritmi adesso devono confrontarsi con una realtà ambientale e climatica che in poche centinaia di anni è stata stravolta dall’homo sapiens.
Da qui l’esortazione dello scienziato a cercare di riparare ai danni creati dall’uomo, visto che la scienza e la tecnologia adesso possono consentirlo, finché siamo in tempo per farlo.

L’articolo pubblicato su Nature da Barnosky 3 ricorda come l’impatto  antropico negli ultimi 200 anni (dall’inizio della rivoluzione industriale) sia stato devastante per il pianeta più di quanto lo fosse stato prima fin dai tempi dell’ultima glaciazione.
Tutte le grandi estinzioni di massa sono state causate da un improvviso collasso dell’ecosistema che fino ad un attimo prima era perfetto. Ma mentre prima il collasso era causato da eventi naturali improvvisi e violenti come terremoti, meteore o vulcani, che potevano modificare 
radicalmente il clima e l’habitat di molte specie viventi in brevissimo tempo, adesso è l’attività umana la principale responsabile dell’attuale pericolo per il pianeta.

Il quasi azzeramento dei ghiacci artici e la perdita dei ghiacciai perenni che ancora 3000 anni fa ricoprivano circa il 30% delle terre emerse, è il prodotto del riscaldamento globale del pianeta 4, mentre ormai quasi la metà delle terre emerse è sfruttato in qualche modo dall’uomo.
Questo gigantesco impatto sull’intero ecosistema terrestre comporta notevoli rischi per la sopravvivenza di molte specie animali o vegetali, molte delle quali si sono estinte negli ultimi 1600 anni per colpa dell’uomo.
Il rischio reale è che adesso o ci fermiamo a curare le ferite che abbiamo inflitto al pianeta oppure l’intero ecosistema non sarà più in grado di sostenere il peso di una umanità composta da 7 miliardi di individui che divora le risorse finite del pianeta come un parassita 5.

Appelli simili provenienti dal mondo accademico, finora sono stati in gran parte inascoltati dagli organi decisionali internazionali. Proprio oggi un appello 6 a rivedere le priorità del paese è stato rivolto da sei associazioni ambientaliste 7 al Primo Ministro italiano Mario Monti in vista del prossimo vertice internazionale di Rio +20, ma purtroppo molto probabilmente a parte di una generica risposta di circostanza alle parole non seguiranno i fatti, visto che per rilanciare un generico Piano di Sviluppo c’è al governo anche chi pensa – irresponsabilmente – di accorciare l’attuale limite delle 12 miglia nautiche a 5  per le trivellazioni petrolifere offshore 8.

Come spesso ho detto su queste pagine non è possibile immaginare un progetto di crescita materiale infinita in un sistema finito quale lo è un pianeta. Il concetto principale dell’attuale economia planetaria, il PIL (Prodotto Interno Lordo), non può crescere indefinitamente senza provocare un danno irreversibile all’intero habitat terrestre. Occorre che l’Umanità se davvero tiene a sé stessa e alla sua esistenza si dia altri obbiettivi e diversi traguardi  da raggiungere.
Altrimenti che continui a farsi male così, ascoltando vecchi ciarlatani ossessionati dalla ricchezza materiale che neppure più sanno a cosa serve il PIL, sperando che poi impari a nuotare in fretta …



Auguri Margherita!

Margherita Hack - Credit: Virginia Farneti ANSA-CD

Esiste un pianetino, un asteroide, che orbita attorno al Sole proprio laggiù in basso a sinistra nella fascia di asteroidi che si estende fra Marte e Giove. In sé non ha niente di eccezionale rispetto agli altri asteroidi come lui se non il nome: 8558 Hack.
Il nostro pianetino è intitolato infatti a una delle menti italiane più brillanti del nostro scorcio di tempo che proprio oggi compie novanta anni: Margherita Hack.

Auguri di cuore Margherita, resta ancora a lungo fra noi!

Il transito di Venere visto dallo spazio

Proprio non ce l’ho fatta.

Avrei voluto pubblicare qualche immagine ripresa da me ma è stato impossibile. L’orrendo caseggiato che hanno costruito un paio di anni fa davanti alla mia casa mi ho impedito di vedere sorgere il Sole nelle ultime fasi del transito. E così ripiego su qualcosa di altrettanto spettacolare e sicuramente più valido dal punto di vista scientifico, ma ahimé, non mio.

In ogni momento il disco di Venere si proietta contro il Sole, la rarità dell’evento è solo legata al fatto che Venere e la Terra hanno piani orbitali leggermente diversi che solo quando si intersecano e Venere transita proprio di lì è possibile vedere la sagoma del secondo pianeta proiettarsi contro la luminosa superficie del Sole.
Questo avviene ogni 243 anni, con coppie di transiti separate da un intervallo di 8 anni (ricordate? le orbite della Terra e di Venere sono in risonanza 13/8), che si ripetono in periodi più ampi di 121,5 e 105,5 anni. Al di là della freddezza dei numeri e dell’assenza di magia nella spiegazione scientifica del curioso fenomeno, non possiamo non apprezzare la bellezza di quello che ogni istante la natura ci offre.

Anche nei filmati che qui sotto propongo possiamo cogliere la bellezza del fenomeno oppure la raffinatezza della scienza che dai tempi di Galileo ha imparato a mostrarci un universo sconosciuto ai normali sensi umani e tutti i fenomeni ad esso associati. Ringrazio la NASA che ha reso pubbliche queste immagini riprese dagli strumenti del Solar Dynamic Observatory.

Buona visione.

Transito di Venere sul Sole osservato dallo strumento HMI (Helioseismic and Magnetic Imager) a bordo dell’osservatorio spaziale Solar Dynamic Observatory della NASA (NASA/SDO).

AIA 1 94: Ripresa del transito alla lunghezza d’onda di 94 Å (estremo ultravioletto). L’analisi del Sole a questa lunghezza d’onda consente di studiare la corona a temperature estremamente elevate (circa 6 milioni di gradi Kelvin) e i brillamenti solari.

AIA 171: a 171 Å (ultravioletto estremo) vengono studiati gli archi dei plasma che si muovono lungo le linee del campo magnetico e si estendono fuori del Sole. Qui le temperature in gioco sono dell’ordine di 1,8 milioni di gradi Kelvin.

AIA 193: alla lunghezza d’onda di 193 Å (ultravioletti estremi) si studia la corona solare a una temperatura di 1,25 milioni di gradi. I brillamenti solari e i CME qui appaiono come più luminosi mentre le regioni più scure sono i buchi coronali, zone relativamente più fredde responsabili di gran parte del vento solare.

AIA 304: qui si studiano i filamenti e le protuberanze solari sopra la fotosfera. Alla lunghezza d’onda di 304 Å (ultravioletto estremo) le aree più chiare sono quelle dove il plasma è più denso. Qui la temperatura è di soli 50000 Kelvin.

AIA 335: anche a 335 Å viene messa in evidenza la zona attiva della  corona solare. Anche qui le regioni più attive, i brillamenti solari, e le espulsioni di materia coronale appaiono luminose mentre le aree più scure sono i buchi coronali.

AIA 1600: a 1600  Å (ultravioletto lontano) viene messa in evidenza la fitta trama dei campi magnetici sulla fotosfera superiore. La temperatura qui è di appena 6000 gradi Kelvin. Le regioni più oscure sono dove i campi magnetici sono più fitti, come accade intorno alle macchie solari e alle regioni attive.

 

Le origini del carbonio marziano

Conosciamo ancora poco di Marte, siamo passati dai canali di Schiapparelli alla superficie arida e senza vita disegnata dalla Mariner4 fino agli esperimenti di biologia delle sonde Viking. Fino a che Curiosity con il suo laboratorio semovente non ci dirà esattamente come stanno le cose su Marte non possiamo che campare di congetture e pochi dati, magari rinvenuti su qualche asteroide marziano piovuto sulla Terra.

ALH84001 - Credit: NASA/JSC/Stanford University

Un nuovo studio 1 condotto da Andrew Carnegie Steele cerca di svelare le origini del carbonio marziano ritrovato in alcune meteoriti di origine marziana, come ad esempio la celeberrima ALH84001.

Il team di Steel ha analizzato 11 campioni meteorici marziani che coprono un arco temporale di 4,2 miliardi di anni di storia marziana e ha studiato le inclusioni carboniose presenti trovando che in dieci di essi queste sono idrocarburi 2 Alcuni di questi composti carboniosi erano inglobati da strutture cristalline minerali, il che ovviamente fa escludere qualsiasi ipotesi di contaminazione esterna alla meteorite o successiva all’epoca della creazione della roccia, quindi la loro origine è senza dubbio la stessa del meteorite: marziana.

Studiando la struttura cristallina che racchiudeva queste grandi molecole organiche 3 il team di Steel ha ottenuto importanti informazioni sulla genesi di queste. Le macromolecole di carbonio sono il frutto di semplici processi chimici – come l’alchilazione 4 – riguardanti molecole più piccole presenti nel mantello del pianeta,  ancora saturo di carbonio, idrogeno e ossigeno 5, e portate in superficie da processi vulcanici.

Certo che stando così le cose, ancora di più Marte si presenta come un’importante tappa per lo studio e l’evoluzione dei pianeti rocciosi e sulle possibili ripercussioni sull’eventuale biologia autoctona che questa ha.