La gola del Bottaccione

C’era una volta… un re!
Ehhh no, questa volta: c’era una volta un asteroide!
Un asteroide grande grande grande, era lungo più di dieci chilometri ed era in rotta di collisione con la Terra!

L’impronta del cratere di Chicxulub, dove avvenne l’impatto.

Il resto della storia credo che ormai la sappiamo tutti, 65  milioni e 638,477  anni fa 1 – giorno più giorno meno – un asteroide grande più dell’Everest si schiantò sulla Terra in quella che ora si chiama penisola dello Yucatan. Quando un’estremità toccò la superficie, l’altra era ancora fuori dell’atmosfera!
Gli effetti dell’impatto furono devastanti: quasi tutte le forme di vita sulla Terra vennero spazzate via nel giro di poche settimane, l’America del Nord fu immediatamente devastata dall’onda d’urto e dagli incendi, tsunami giganteschi spazzarono l’oceano Atlantico più volte con onde alte centinaia di metri.
Terremoti giganteschi fecero vibrare la Terra per giorni e i vulcani ripresero la loro attività preferita mentre altri nacquero. L’asteroide vaporizzò immediatamente nell’impatto e le sue polveri insieme alle ceneri vulcaniche e quelle degli incendi globali rimasero in sospensione nell’atmosfera per mesi, oscurandola in un terribile, glaciale inverno globale.
Le ceneri e le polveri si depositarono al suolo con piogge acide che inquinarono fiumi e laghi e quando tutto questo finì, arrivò una terribile estate senza fine dovuta all’anidride carbonica sprigionata dagli incendi delle foreste del pianeta.

Fu così che circa il 75% delle forme di vita del pianeta si estinse quasi immediatamente, tutti gli animali più grandi che fino ad allora avevano dominato il pianeta scomparvero, lasciando campo libero a piccoli roditori mammiferi che seppero adattarsi meglio al nuovo ambiente.
Alla Terra occorse quasi un milione di anni per riprendersi da quell’inaspettato evento, tanto fu devastante.

Le polveri prodotte dalla sublimazione dell’asteroide che avevano avvolto il pianeta nel lungo inverno artificiale ricaddero al suolo formando uno straterello grigiastro che quando fu scoperto nel 1980 dal geologo Walter Alvarez nella Gola del Bottaccione 2 vicino Gubbio, in Italia.

Credit: Il Poliedrico

Eccolo qua il significato del quiz La roccia misteriosa: la profonda fenditura rappresenta lo Strato K-T trovato da Alvarez nell’80. I forellini circolari sono saggi prelevati per studiare i dintorni dello strato.
Queste rocce si sono formate sul fondo di un antico oceano chiamato Tetide. Le rocce più antiche dello Strato K-T – sul lato destro dell’immagine – sono composte da carbonato di calcio originato dal deposito di milioni di microorganismi fossili (conchiglie e plancton), mentre le rocce più giovani – lato sinistro – sono composte da argilla, le tracce di forme di vita si interrompono immediatamente con l’Evento K-T.

Anche questa è storia, l’inizio della storia dei sopravvissuti che hanno permesso alla loro discendenza di dominare il pianeta.

Luce cinerea con sorpresina!

Qualche volta anche una banale fotografia riserva qualche sorpresa…

Credit: Il Poliedrico

Questa fotografia mostra la Luna ai primi istanti del primo quarto alle 18;44 di questa sera, 6 marzo 2011. Qui si vede la celeberrima luce cinerea, ovvero l’intero disco lunare in ombra che risalta seppur di poco dal fondo del cielo.
Essa è dovuta alla luce riflessa dalla Terra che riesce ad illuminare la parte in ombra del nostro satellite.
In pratica è un modo per misurare l’albedo del pianeta che, purtroppo, sembrava calare inesorabilmente fino a circa tre anni fa, ma che adesso, per fortuna, sembra che voglia risalire.
L’albedo è l’indice di riflessione della luce da parte di un corpo che va da 0 == massimo assorbimento, a 1 == massima riflettività.
Nel caso dei pianeti indica la quantità di luce solare che questi riflettono verso lo spazio esterno e che quindi non trattengono ad esempio come calore.
Nel caso della Terra, maggiore è l’estensione dei ghiacciai e delle nubi, maggiore è l’albedo e minore è la radiazione solare che il pianeta trattiene e che converte in calore.
Se non credete che la luce cinerea sia dovuta alla Terra, guardate qua:

Credit: Il Poliedrico

questa è la stessa fotografia rielaborata sommariamente, nella parte in ombra si intravedono i mari lunari!

Brillamenti solari e tempeste geomagnetiche

Abbiamo visto nello scorso articolo quanto le aurore polari possano rappresentare un rischio per la nostra società, ma quanto questo rischio è reale?

Credit: NASA/SDO

Se un evento ha anche una sola probabilità di accadere, in un lasso di tempo sufficientemente lungo, questo accadrà.
Nel 1859 (Evento Carrington)  una massiccia tempesta solare mise fuori uso  la rete telegrafica degli Stati Uniti e in Europa, altri eventi minori più volte hanno temporaneamente messo fuori uso la nostra tecnologia basata sull’elettricità in varie parti del mondo, dimostrando – casomai ce ne fosse ancora bisogno – di quanto sia fragile l’equilibrio su cui si regge la nostra società tecnologica.

Tutto questo ha origine dalla rotazione differenziale del Sole (la velocità di rotazione all’equatore è  maggiore che ai poli) tipica dei corpi non solidi che genera tubi di flusso magnetico al di sotto della superficie stellare (zona convettiva).
Si chiama attività solare la presenza di zone più fredde  sulla superficie del Sole con cicli di 11 anni. Queste zone più fredde paiono più scure rispetto alla fotosfera circostante, per questo sono chiamate macchie solari,  e sono provocate da questi flussi magnetici che inibiscono il riscaldamento convettivo della materia che racchiudono, al momento che raggiungono la superficie.
Le linee di questi campi magnetici a causa della rotazione differenziale, si avvolgono a tal punto che spesso si annichiliscono e  rilasciano una immensa quantità di energia sotto forma di flare e di espulsioni di massa coronale che mantengono memoria del campo magnetico che le ha generate.

Il campo magnetico del Sole – come quello terrestre – non è perfettamente allineato con l’asse di rotazione. Sotto la spinta del vento solare il flusso magnetico non si chiude subito ma si disperde nello spazio per circa 160 U.A.  creando una forma a spirale.
La componente del vento solare responsabile di questo fenomeno si chiama corrente interplanetaria diffusa.
Inoltre il flusso di vento solare è più forte verso il massimo del ciclo solare per poi ridiminuire successivamente verso il minimo, questo ha notevoli ripercussioni sia sulla magnetosfera terrestre che, curiosamente sul clima e il riscaldamento dell’atmosfera terrestre in modi davvero inaspettati 1.
La Terra quindi si viene a trovare periodicamente immersa nelle diverse polarità del campo magnetico solare e, come conseguenza, la magnetosfera terrestre si espande e si contrae ciclicamente. Questo ciclo dura 27 giorni, come un giorno solare all’equatore.
Un’altra peculiarità del campo magnetico solare è che esso inverte la propria polarità ad ogni ciclo solare.

La corrente interplanetaria diffusa è prodotta dall’influenza del campo magnetico del Sole sul plasma del mezzo interplanetario.

Per riassumere in pratica abbiamo un ciclo di campo magnetico solare di 22 anni in cui questo si inverte di polarità (11 anni o un ciclo solare) per poi ritornare alla precedente condizione (22 anni o 2 cicli solari) e un ciclo di 27 giorni dove la componente magnetica trasportata dal vento solare si inverte di segno.

Il dipolo magnetico terrestre attualmente è SN (Sud-Nord), quindi la magnetosfera terrestre è particolarmente sofferente quando la componente del campo magnetico interplanetario ha una polarità NS.
Durante i cicli di massima attività solare, la pressione del vento solare con l’opportuna polarità può far arretrare la magnetosfera fin della metà  2 per effetto della riconnessione magnetica dei due campi magnetici opposti.
A questo punto basta che la bolla di plasma liberata dal brillamento abbia l’energia sufficiente e l’opportuna polarità NS per far collassare il campo geomagnetico e lasciar campo libero al plasma solare di ionizzare l’atmosfera fino alle basse latitudini, come accadde nel 1859.
Ma cosa accadde esattamente nel 1859?

Il flare di per sè fu eccezionale, ma anche eccezionale fu la sua velocità: appena 17 ore e 40 minuti contro le normali 30 ore o più per andare dalla superficie del Sole alla Terra impiegati mediamente da altri brillamenti, un tempo relativamente breve che probabilmente impedì al plasma di perdere parte  della sua forza .

A questo punto lo scenario è semplice: un potente flare genera un bolla di plasma magnetico con la stessa polarità del mezzo interplanetario opposti però al campo magnetico terrestre.
Il risultato di questo spiacevole mix è che i raggi X generati dal flare dopo appena 8 minuti potrebbero distruggere lo strato D della ionosfera causando un blackout  nelle onde corte in tutto l’emisfero  illuminato.  Lo strato di ozono verrebbe impoverito dal  5 al 10%, provocando una maggiore insolazione ultravioletta che andrebbe a riscaldare l’atmosfera 3.
Dopo 20-30 ore la bolla di plasma farebbe collassare la magnetosfera inondando l’atmosfera del pianeta con protoni energetici, generando i magnifici colori tipici prodotti dalle interazioni di questi con gli atomi dell’aria. Le radiazioni generate da queste interazioni raggiungono  la superficie terrestre danneggiando i componenti elettrici ed elettronici che incontrano principalmente per effetto Compton.

Ice core data shows a strong spike (red bar) in the atmospheric nitrate (NOx) abundances during the 1859 storm, along with lesser spikes for many other storms since 1500

La barra rossa indica una forte concentrazione di nitrato atmosferico (NOx) prodotto durante la tempesta 1859, insieme agli eventi minori registrati a partire dal 1561. Credit: NASA

Comunque lo scenario apocalittico appena descritto potrebbe avere poche possibilità di avverarsi a breve.
Ricerche effettuate su carote di ghiaccio prelevate  in Groenlandia e in Antartide, gli scienziati Michael Smart, Donald Shea e Kennith McCracken presso l’Air Force Research Lab e l’Università del Maryland hanno mostrato che le concentrazioni di nitrati intrappolati nel ghiaccio si impennavano in concomitanza dell’attività solare. Questi marcatori sono stati chiamati Solar Event Proton 4 e hanno permesso di risalire a eventi piuttosto importanti a partire dall’anno 1561.
In queste registrazioni naturali l’unica supertempesta che si è abbattuta sul nostro pianeta è quella appunto del 1859, una soltanto in 450 anni!
Sono appena 19 le altre tempeste importanti registrate, con una media di una ogni 23 anni circa, ma non sono uniformi nel tempo come ci si dovrebbe aspettare per fare una previsione.
Gli ultimi 40 anni non si sono registrate grosse tempeste, tranne che nell’agosto del 1972 e nel marzo del 1991, cosa che è accaduta solo durante il Minimo di Maunder 5.
In confronto nei periodi tra il 1850 e il 1930 ci sono stati ben 10 eventi più intensi di quello del 1972.

A questo punto per sapere come sarà stato il Ciclo 24 e se ci saranno supertempeste dovremmo solo aspettare.

Le aurore polari: belle e pericolose

Credit: Marketa Stanczykova, Iceland-Reykjavik Feb. 21, 2011

Il 18 febbraio un nuovo gruppo di macchie solari, il numero 1161 – subito sotto al gruppo n. 1162, ha generato un altro brillamento di classe M 6,6 alle 10:11 Tempo Universale.  Quindi dopo al vivace gruppo 1158 responsabile dei grandi brillamenti dei giorni precedenti, anche questi si sono mostrati particolarmente attivi durante il periodo della loro visibilità. Ormai i gruppi 1161 e 1162 stanno per scomparire verso il bordo orientale portandosi sull’altro emisfero.

Le tempeste solari ci regalano  le magnifiche aurore polari di questi giorni, ma possono essere concretamente pericolose per la nostra civiltà che, rispetto a solo 20-30 anni fa, fa un affidamento massiccio sui satelliti artificiali per telecomunicazioni e ai sistemi di geolocalizzazione GPS nel traffico aereo e navale.

Una tempesta che è entrata nella storia fu  quella del 29 agosto 1859, che mandò in tilt nei giorni successivi  per 14 ore  la neonata tecnologia del telegrafo che all’epoca si avvaleva di impulsi elettrici su cavi aerei di rame. I cavi si comportarono come una enorme antenna ricevente, accumulando un grandissimo potenziale elettrico che li distrusse, e nei giorni successivi furono osservate aurore polari fino a Cuba.
Nel 1972 un flare solare bloccò le comunicazioni telefoniche a lunga distanza nell’Illinois e nel 1989 un’altra tempesta solare provocò un blackout in tutta la regione del Quebec in Canada. Un altro evento importante accadde il 14 luglio 2000 1: un brillamento solare di classe X5  si sprigionò dal gruppo di macchie chiamato 9077 e il CME susseguente provocò blackout nelle radiocomunicazioni in diverse parti del pianeta e intense aurore boreali visibili fin nel sud degli Stati Uniti 2 3. L’eccezionalità della tempesta fu registrata anche dalle sonde Voyager 1 e 2.

L’impulso EMP

EMP sta per electromagnetic pulse, un impulso elettromagnetico generato da un’esplosione nucleare appena fuori dell’atmosfera dell’ordine del megatone. Gli effetti sono nulli per la popolazione e gli edifici, ma distrugge tutte le infrastutture elettriche: una bomba da un paio di megatoni appena fuori dall’atmosfera è capace di inginocchiare gli interi Stati Uniti.

Immaginate adesso cosa può fare un evento simile a quello del 1859 alla nostra civiltà: lo spessore dei conduttori nei circuiti integrati delle nostre apparecchiature elettroniche si misura in micrometri, l’effetto Compton su di queste sarebbe fatale, ma anche le linee aeree dell’elettricità e i trasformatori di potenza delle centrali elettriche sarebbero seriamente in pericolo.
Ora che tutta la nostra civiltà si basa sui calcolatori e telecomunicazioni potrebbe subire danni incalcolabili, l’economia andrebbe a picco, i mercati borsistici crollerebbero, niente sarebbe più come prima: niente Internet, i computer e i cellulari  diverrebbero inutili scatole piene di cosi fusi, etc, colpiti dall’EMP naturale.
È stato stimato che ai soli Stati Uniti potrebbe costare fino a due miliardi di dollari in riparazioni nel primo anno e  che a questi potrebbero occorrere fino a 10 anni per riprendersi completamente 4

Nel 1976 un pilota di caccia russo disertò in Giappone e consegnò il suo MIG 25 Foxbat all’Occidente.  Le Forze Armate Occidentali ritenevano il Mig 25 un aereo superiore e furono sorpresi che questo  era costruito in nichel e aveva le apparecchiature di bordo a … valvole! Il caccia sovietico si dimostrò meno vulnerabile agli impulsi elettromagnetici di quanto lo fossero gli omologhi occidentali 5.

Questo aneddoto spiana la strada alle tecniche per proteggersi da una catastrofe come il flare del 1859: la gabbia di Faraday.
Le cariche elettriche si distribuiscono spazialmente sulle superfici, per questo si usano cavi di sezione più grande – e quindi di superficie maggiore – per le correnti più elevate.Una gabbia di Faraday in sostanza è una struttura di materiale conduttore – che scarica a terra –  che isola elettricamente l’ambiente che racchiude da quello esterno.
Per questo i forni a microonde hanno una griglia metallica allo sportello: per isolare l’ambiente interno saturo di microonde dall’osservatore;  così come un cavo di una antenna televisiva ha nella sezione più esterna una fitta maglia di materiale conduttore – detta calza, che serve per proteggere  il segnale di pochi millivolt che viaggia nel conduttore interno dalle interferenze elettriche esterne.
A questo punto sembrerebbe che l’unica protezione sia nell’isolare con strutture metalliche i milioni di chilometri di cavi elettrici delle linee elettriche e tutti i nodi di produzione e ridistribuzione dell’energia, gli edifici etc., potrebbe essere la soluzione ma sarebbe antieconomica. Nell’attesa che soluzioni ingegneristiche tengano conto degli effetti di un EMP  fin dalla fase di progettazione di nuove strutture che rimpiazzino quelle esistenti, per ora è possibile ridurre i rischi di sovraccarico semplicemente spegnendo le centrali di produzione elettrica e mettendo a terra i conduttori e i nodi di distribuzione, evitando così che un EMP possa danneggiarli, per il resto la soluzione potrebbe essere quella che prendiamo quando si scatena un temporale: isolare le apparecchiature elettroniche e assicurarsi della loro messa a terra. Alcuni  guasti  saranno inevitabili, ma almeno saranno evitati i più gravi.

Per questo è importante un  monitoraggio continuo del Sole e della sua attività: per darci quel minimo di preavviso per evitare che un evento come quello del 1859 metta in pericolo la nostra civiltà.

La roccia misteriosa

Credit: Il Poliedrico

Questa foto è piuttosto banale e bruttina, ma racchiude un interessante particolare.
Non svelo altro per non essere deliberatamente d’aiuto, perdonatemi.
A voi il compito di scoprirlo attraverso il sondaggio di questo mese.

  1. Un rigagnolo di una sorgente ormai essiccata.
  2. Il limite K-T (Cretaceo-Terziario).
  3. Gli strani fori nelle rocce.
  4. I particolari colori di diversi tipi di calcare.

Come sempre la risposta arriverà tra due settimane, mi raccomando votate e commentate.

Luci di San Valentino e megaflare

Credit: Øystein Lunde Ingvaldsen, Bø in Vesterålen,14 Feb. 2011- nord Norvegia

L’attività del groppo di macchie solari numero 1158 continua.
Dopo aver generato il primo flare di classe M (flusso dei raggi x superiore a 1.00e-5 w/m^2) il 13 febbraio scorso 1, poco dopo la mezzanotte – Tempo Universale – del 15 febbraio ne crea un altro ancora più intenso, questa volta di classe X (flusso dei raggi x  superiore o uguale a  1.00e-4 w/m^2).
Il risultato è stato una espulsione di massa coronale così registrata dalla sonda STEREO-B 2

Nelle ore in cui scrivo c’è una discreta instabilità geomagnetica che sta provocando intense aurore intorno ai poli. Questa dovrebbe essere ancora l’ondata del CME del 13 febbraio, che fin da ierisera ha allietato con meravigliosi spettacoli di luci danzanti nei cieli circumpolari. Quella del CME di oggi dovrebbe arrivare tra domani sera e giovedì.

Insomma il Sole non farà dormire neppure di notte

L’aurora di San Valentino

Flare di classe M registrato da SDO. Credit: NASA/SDO

Questa è la più grande eruzione solare di questo ciclo. È arrivata alla scala M6.6 dei raggi X alle 17:38 UT del 13 febbraio 2011. Credit: NASA/SDO

Anche il nostro Sole ha voluto festeggiare San Valentino con una magnifica eruzione che ha superato la magnitudine 6 nei raggi X 1 2.
Il brillamento del 13 febbraio 2011 è partito dal gruppo di macchie solari numero 1.158 scatenando il più forte brillamento solare di questo ciclo solare, un’esplosione di radiazioni che ha percorso tutto lo spettro elettromagnetico, dalle onde radio ai raggi X e gamma.
La sonda NASA Solar Dynamics Observatory ha registrato un intenso lampo di radiazione ultravioletta estrema. Comunque, secondo i dati delle sonde STEREO e SOHO, pare che il grandioso flare non sia accompagnato da una grande espulsione di massa coronale (CME).

Quindi fra stasera e domani ci saranno comunque delle stupende aurore ad accompagnare gli innamorati, ma solo per quelli che abitano alle alte latitudini.

Pareli nel Texas

Credit: David Blackburn - Amarillo, Texas

Se cercate su Wikipedia informazioni sul clima della città di Amarillo, troverete che la temperatura media oscilla tra gli 8,9 gradi centigradi di gennaio ai 33,3 gradi di luglio. Qualche volta capita che ci nevichi, ma raramente capita che sia freddo giù nel Texas.
Eppure il 9 febbraio scorso è capitato di vedere dei pareli 1 anche ad Amarillo, anche se da quelle parti deve essere raro come  vincere il primo premio alla lotteria!

Appuntamento di San Faustino per la Stardust NExT

Dovremmo pensare che anche alla NASA, in tempi di ristrettezze economiche, cerchino di risparmiare sulle missioni riutilizzando vecchie sonde come è accaduto qualche mese fa per la Deep Impact/EPOXI. Io invece credo che siccome le sonde alla NASA le sanno costruire fin troppo bene, è giusto metterle a frutto il più possibile, dopotutto sono un usato garantito!


Rappresentazione artistica di Stardust-NExT . Credit: NASA/JPL-Caltech/UMD

Un sottile filo immaginario lega la cometa della missione EPOXI e la cometa della missione NExT: la cometa 103P/Hartley2 è stata visitata dalla sonda EPOXI 1 che aveva in precedenza sparato un proiettile sulla 9P/Tempel1. Entrambe le comete sono poi state oggetto di studio riusando sonde di missioni precedenti.

Dopo l’incontro con la cometa Wild2 avvenuto nel gennaio 2004 da parte della sonda Stardust che raccolse campioni di polvere della coda della cometa che poi rimandò a terra, tra il 2006 e il 2007 gli scienziati della NASA proposero di riassegnare la missione con il nuovo nome di  NExT (New Exploration of Tempel 1) per farla incontrare con la Tempel1 che nel 2005 era stata visitata dalla sonda Deep Impact.

Deep Impact su 9P/Tempel1. Credit: NASA/JPL

La missione Deep Impact aveva avuto il compito di sparare un ordigno di 370 chilogrammi sulla Tempel1, ma le immagini raccolte subito dopo furono offuscate dalla nuvola di detriti alzata dall’impatto.

Compito della NExT sarà quello di osservare gli effetti che il proiettile ha avuto sulla cometa. L’incontro avverrà il 15 febbraio alle 04:00 UTC (le 5 del mattino in Italia).

il Teatro del Agua

Non sono un economista e di questo ne vado fiero, specialmente dopo che ho scoperto 1 che questi qualche volta si affidano ai maghi e agli oroscopi (!) per le loro previsioni che influenzano poi l’agire politico di intere nazioni e quindi di tutti noi; non farò un trattato new age di economia, ma cercherò di illustrare che una alternativa di sviluppo sostenibile per l’ambiente è realmente possibile e magari anche piacevole.

Rappresentazione artistica del Teatro del Agua. Credit: Charles Paton per studio Grimshaw (Progetto Eden)

… Non vogliate negar l’esperienza
di retro al sol, del mondo sanza gente.
Considerate la vostra semenza
fatti non foste a viver come bruti
ma per seguir virtute e canoscenza
2

Chi pensa che un’alternativa all’attuale modello economico di crescita infinita/PIL non esista o crede che l’altro modello della decrescita sostenibile porti alla disoccupazione di larga parte della popolazione e alla rinuncia del nostro tenore di vita, secondo me sbaglia di grosso. Come indicò anche il Sommo Poeta 800 anni fa, dovremmmo tornare a pensare in termini di qualità della vita, quindi anche della salubrità ambientale, piuttosto che accanirsi sulla produzione di merci che poi non possono essere assorbite dal mercato.
Il problema è che le risorse del pianeta sono finite, nel senso che sono limitate,  e che per quanti sforzi si possano fare nel risparmio energetico e nella redistribuzione delle risorse, il pianeta con l’attuale modello socioeconomico dominante non può sostenere la spinta di 10 miliardi di persone che, giustamente, chiedono le stesse opportunità.
La principale risorsa finita che è di importanza vitale per l’umanità è l’acqua.
Intorno all’acqua sono sorte tutte le grandi civiltà, e per la sua mancanza sono crollati imperi 3 .

Il Teatro del Agua 4  ideato qualche anno fa da Charles Paton col team del Progetto Eden e lo studio di architettura Grimshaw potrebbe risolvere molti grossi problemi di approvvigionamento idrico per molte comunità costiere e contemporaneamente essere usato come spazio ricreativo.
Il meccanismo di funzionamento è estremamente semplice: l’acqua di mare viene nebulizzata nell’aria più calda. Questo vapore entra in contatto con i condensatori raffreddati dalla stessa acqua di mare e si condensa in acqua dolce separandosi della componente salina; in pratica è lo stesso ciclo naturale delle nubi e della pioggia. L’energia per tutto l’impianto di pompaggio è prodotto con fonti energetiche rinnovabili.

Questa tecnologia può essere applicata per creare serre in climi aridi 5, purificare l’acqua in ambienti malsani etc. con un minimo dispendio energetico, cosa che gli attuali impianti dissalatori non riescono a fare.

È solo un esempio, è solo un  inizio, ma si  può fare.