Una parentesi nel cielo

Credit; Il Poliedrico

 

 

Per ingannare l’attesa del 15 giugno, giorno dell’eclissi di Luna tanto atteso, mi sto cimentando in una serie di fotografie di soggetti astronomici, che a meno che non sia il cielo coperto, se ne stanno lì, fermi e buoni buoni sempre in posa, come prime donne del cinema.
E così stamattina alle 4:30 Ora Locale  (U.T. +2)  mi sono alzato, ho spalancato la finestra dello studio e lei, l’antica compagna di questo misero sasso sperduto nell’infinità del cosmo che chiamiamo Terra, era lì ad aspettarmi, con l’aria un po’ civettuola di chi è abituata a farsi fotografare.
E io che ho fatto? Ho fotografato, che diamine!
Eccola qui, pare una parentesi tonda nel cielo mattutino,  col cratere Grimaldi ben visibile accanto al bordo occidentale subito sotto l’Oceano delle Tempeste e le creste del cratere Vieta.
Purtroppo il seeing era pessimo e ho avuto serie difficoltà nella messa a fuoco. Pazienza, la Luna sarà sempre lì  quando lo vorrò.

L’eclissi di Luna del 15 giugno 2011

Simulazione grafica dell’eclissi di Luna del 15 giugno 2011 visibile dal territorio italiano
Credit: Il Poliedrico
Parametri Eclissi di Luna 15/6/2011
Tempo Locale (UT + 2)
Ingresso in penombra 19:24 [1]
Luna Piena 20:18
Ingresso in ombra 20:22 [2]
Alba Luna 20:48
Tramonto Sole 20:59
Avvio fase totale 21:22 [3]
Massimo totalità 22:12 [4]
Fine fase totale 23:02 [5]
Uscita dall’ombra 00:03 [6]
Uscita dalla penombra 01:00 [7]

Schema grafico dell'ombra della Terra. I numeri rappresentano i momenti del transito lunare. Gli orari sono quelli della tabella. Le fasi 1 e 2 sono invisibili dall'Italia. - Credit: Il Poliedrico

 

In passato ho già avuto modo di sottolineare l’importanza, anche solo visuale,  dell’osservazione di una eclissi di Luna.
Attraverso la qualità e la quantità di luce diffusa dalla nostra atmosfera e riflessa dalla superficie lunare si possono avere indicazioni dello stato della salute del nostro pianeta. Ovviamente come in questo caso, i primi minuti di osservazione saranno falsati dal fatto che l’eclisse inizia prima che questa sorga.
Nella tabella qui accanto ho indicato i momenti principali del fenomeno prendendo come riferimento la mia città nell’Italia Centrale, ma che con scarto di pochi minuti è valido anche per ogni altra località.

Carta del cielo 15 giugno 2011 - Credit: Il Poliedrico

Una cosa che ho premura di sottolineare è che la Luna nel momento dell’eclissi transiterà in Ofiuco – la tredicesima costellazione perduta dagli ‘strologi – tra lo Scorpione e il Sagittario,  proprio in primo piano rispetto il centro della Galassia! Uno spettacolo nello spettacolo davvero imperdibile!

Quanto gli oggetti del  profondo cielo saranno visibili, tutto dipende dalla magnitudine dell’eclisse 1 che quest’anno è di 1,695, quindi molto molto scura, con una durata di circa 100 minuti. Un lungo tempo dove gli astrofili più esperti potranno pianificare e sperimentare tante occultazioni di oggetti deboli, cosa non sempre possibile per l’eccessiva luminosità del nostro satellite naturale.

Gli oggetti del profondo cielo da osservare per l’occasione  non mancano, si va dalla Nebulosa Aquila,  alla Nebulosa Omega e la Nebulosa Laguna, verso il centro galattico. Ora non avete altro che da sbizarrirvi e se volete, Il Poliedrico metterà a disposizione lo spazio per pubblicare i vostri lavori.

Forza, tirate fuori le vostre macchine fotografiche e ungete gli arnesi! Che aspettate?

 

 


A mio Fratello

Circa un anno fa conobbi un Uomo proveniente dall’Africa, uno dei tanti ultimi del mondo, anche lui vittima di una delle tante, troppe guerre dimenticate, la cui casa era stata distrutta da una bomba. Una bomba di una guerra che si era presa sua moglie, suo figlio e il suo occhio sinistro.
Era arrivato  in questo paese con la speranza di  riavere almeno questo, ma il denaro per le cure era finito in fretta, prima che fossero compiute le diverse operazioni chirurgiche che avrebbero potuto aiutare il suo occhio, e così era finito per diventare un venditore ambulante, uno di quelli che vanno in giro tutto il giorno trascinando borsoni stracarichi più pesanti del loro corpo ricurvo a suonare i campanelli delle case per vendere misera merce.

Quando lo conobbi credo di aver comprato qualcosa, poi lui mi raccontò quello che ora racconto qui, ed è rimasta l’unica volta.
Quando capita da queste parti  passa a trovarmi, parliamo un po’ e poi io gli dono qualcosa, 5, 10 o 20 euro, tutto sommato poco, senza volere la sua povera roba in cambio; solo la promessa che quei soldi restino suoi e che non li divida con il racket che lo sfrutta.
Oggi il mio amico è passato e mi ha mostrato con orgoglio le lenti a contatto che è riuscito a comprare per coprire l’occhio offeso e ormai perso. Con queste lenti il suo occhio sinìstro non è più una orribile palla vuota e grigia.
Una guerra si era portata via il sorriso di quest’uomo che oggi pochi euro hanno in minima parte riscattato. Le mie misere briciole forse questa volta hanno fatto la differenza ridando la speranza ad un Uomo che io sento Fratello.

AMS-02 cacciatore di antimateria

Ringrazio Sabrina Masiero che mi ha chiesto di partecipare alla stesura di questo articolo. il mio contributo è stato minimo, ho solo fatto il cappello di apertura, la maggior parte dell’articolo è merito suo.

In collaborazione con Umberto Genovese

Idealizzazione della materia e antimateria.

L’antimateria fu ipotizzata diverse volte tra la fine del XIX secolo e i primi del XX, ma fu solo nel 1928 che il fisico Paul Dirac lavorando a una versione relativistica dell’equazione d’onda di Schrodinger scoprì che era necessario introdurre una nuova particella di carica opposta all’elettrone, un antielettrone o positrone, come poi sarebbe stata chiamata nel 1932 da Carl D. Anderson che la scoprì mentre analizzava le tracce dei raggi cosmici rilasciate in una camera a nebbia.

L’unica differenza reale che distingue una particella dal suo omologo opposto anti – per ogni particella conosciuta ne esiste una di segno opposto – è solo nella sua carica elettrica, l’elettrone ad esempio possiede la stessa massa a riposo e lo stesso spin di un positrone ma la carica elettrica è opposta. Lo stesso vale anche per i quark, stesso sapore e massa, ma con la carica frazionaria tipica di queste particelle fondamentali opposta. Così ad esempio l’antineutrone è composto da un antiquark up e due antiquark down, esattamente come il neutrone (1 quark up e 2 quark down), è anch’esso elettricamente neutro, ma rispetto alla particella ordinaria possiede un momento magnetico opposto (le cariche elettriche degli antiquark sono opposte).

A questo punto è chiaro che un universo interamente costituito da antiprotoni, antineutroni e positroni sarebbe altrettanto stabile quanto il nostro, che il segno anti a questo punto assume un titolo puramente convenzionale, giusto per distinguere le particelle dai suoi omologhi di carica elettrica opposta.

Anche se il termine antimateria incute paura in quanto un antiatomo che collide col suo omologo di materia ordinaria provoca l’annichilazione immediata dei due atomi convertendo interamente la somma delle loro masse a riposo in energia cinetica sotto forma di radiazione e altre particelle elementari – per questo non è possibile confinare e immagazzinare antiatomi elettricamente neutri – questa viene già usata comunemente in medicina: la tomografia a emissione di positroni (o PET dall’inglese Positron Emission Tomography).

Per finire, l’antimateria è stata scoperta formarsi sopra le nubi della nostra atmosfera, nelle fasce di Van Allen di Giove, e comunque in tutti i processi ad alta ed altissima energia.

Visto che l’antimateria immediatamente decade quando viene a contatto con la materia ordinaria, sorge spontanea una domanda: nella fase di bariogenesi, quando cioè la materia si è disaccoppiata dall’energia poco dopo il Big Bang, perché poi la materia con questa configurazione di carica elettrica di cui è composto l’universo che conosciamo è sopravvissuta all’annichilazione con la sua omologa di carica opposta?

È a questa domanda, e anche altre, che una collaborazione scientifica internazionale, che coinvolge 16 nazioni di tre continenti, 56 istitutizioni e 600 scienziati  vogliono dare una risposta con uno strumento significativamente più evoluto della camera a bolle di Anderson, l’Alpha Magnetic Spectrometer (AMS-02).

L’Italia è in prima linea nella realizzazione di un ambizioso esperimento di fisica delle particelle che avrà luogo nei prossimi mesi nello spazio, a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) a quasi 500 chilometri di altezza dalla superficie terrestre. Con la missione STS-134 dello Space Shuttle Endeavour viene traslato sulla ISS l’Alpha Magnetic Spectrometer (AMS-02), uno spettrometro magnetico con l’obiettivo di studiare i raggi cosmici alla ricerca di nuclei di antimateria e tracce di nuove forme di materia che si possono riprodurre in laboratorio.

Il contributo dell’Italia è stato davvero importante per la realizzazione di AMS-02 con un finanziamento pari a circa il 25% sul costo totale. L’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) insieme all’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) è responsabile della realizzazione dei principali strumenti a bordo di AMS-02, il potente “cacciatore di particelle”, come è stato definito dall’opinione pubblica internazionale. AMS-02 è stato realizzato in circa dieci anni da una grande collaborazione internazionale diretta dal Premio Nobel Samuel Ting del MIT e del CERN, il cui vice responsabile è il Prof. Roberto Battiston dell’INFN-Università degli Studi di Perugia.

I ricercatori dell’INFN hanno progettato e realizzato, sotto la gestione dell’ASI, alcuni tra i principali sistemi di identificazione di raggi cosmici, in particolare il time of flight, il rivelatore ad immagini Cherenkov, il calorimetro elettromagnetico, il tracciatore al silicio e gli star tracker. Nel 1998 un prototipo dell’esperimento, AMS-01, ha realizzato un primo volo con successo sullo Shuttle. AMS-02, portato in orbita con l’ultima missione Shuttle Endeavour, sarà successivamente montato all’esterno della ISS.

Questo spettrometro magnetico sarà in grado di identificare antiparticelle e antinuclei con una precisione di una parte per miliardo. Qualcuno lo ha confrontato con l’Hubble Space Telescope (HST), facendolo diventare il nuovo HST dei raggi cosmici, di cui misurerà la composizione nello spettro di energia compresa tra i 100 MeV e i 5 TeV. Realizzato sulle tecniche di rivelazione di particelle sviluppate negli esperimenti al CERN e presso i Laboratori dell’INFN, AMS-02 è composto da una serie di rivelatori in grado di “individuare” vari tipi di particelle di raggi cosmici che attraverseranno la sua sezione sensibile tramite misure di carica, velocità, energia e direzione di moto, ricostruendone la traiettoria all’interno del campo magnetico generato da un magnete permanente cilindrico che deflette i raggi cosmici carichi che lo attraverseranno.

Rappresentazione schematica dell’Alpha Magnetic Spectrometer. – Credit: INFN

Gli obiettivi scientifici sono molteplici. Da questo spettrometro magnetico ci si aspetta risposte a problemi che stanno alla base della fisica delle particelle elementari: dalla ricerca dell’antimateria primordiale allo studio della natura della materia oscura, che non emette luce come la materia ordinaria, e della cui esistenza si hanno prove indirette di carattere astrofisico, come per esempio lo studio delle curve di rotazione delle galassie. Non si hanno al momento prove dirette sulla sua esistenza anche se sembra che la materia oscura sia circa sei volte maggiore della materia ordinaria luminosa.

Il precursore AMS-01 aveva raggiunto in soli dieci giorni di funzionamento la stessa sensibilità all’antimateria ottenuta in decenni di misure con palloni stratosferici, identificando in meno di una parte per milione la proporzione della frazione nei raggi cosmici dell’antielio rispetto all’elio. AMS-02, capace di effettuare la ricerca diretta di antinuclei con una sensibilità di una  parte per miliardo, si propone di migliorare questo valore e di far luce su una delle grandi domande della cosmologia moderna, l’apparente scomparsa dell’antimateria primordiale.

Inoltre, AMS-02 compirà misure di precisione della composizione di tutte le componenti cariche dei raggi cosmici fino a una energia di 5 TeV, alla ricerca di eventi estremamente rari che sarà più probabile identificare grazie al fatto che gli anni di attività sono passati dai primi 3 anni ai 10 anni, anni che la ISS è in grado di garantire.

Anche gli aspetti tecnologici sono notevoli: AMS-02 è il più grande payload scientifico previsto per la ISS. Le sue dimensioni sono di circa 64 metri cubi per un peso di 6,9 tonnellate. Il magnete cilindrico ha un campo magnetico di circa 0.15 Tesla, ossia 3000 volte più intenso del campo magnetico medio terrestre. I rivelatori a bordo di AMS-02 sono in grado di rilevare in poche centinaia di microsecondi ogni singolo raggio cosmico che attraversa lo spettrometro.

AMS02 viene estratto dalla bay dello shuttle il 19 maggio 2011 alle ore 5:46 EDT. – Crediti NASA.

AMS-02 è un potente strumento per il quale è stato richiesto lo sviluppo e la qualificazione spaziale di numerose nuove tecnologie, molte della quali sviluppate dalle industrie italiane e nei laboratori dell’INFN, in particolare presso il Laboratorio SERMS di Terni.

Le industrie italiane coinvolte in questo esperimento: Carlo Gavazzi Space (Milano); G&A Engineering (Carsoli, Aquila); FBK-irst (Trento); SITAEL Aerospace, Euromec (Parma); Ri-Ba Composites (Faenza, RA), Carso (Trieste); e Galli & Morelli (Lucca).

Fonte: A.S.I. Agenzia Spaziale Italiana-Alpha Magnetic Spectrometer:

http://www.asi.it/it/attivita/astrofisica/ams_alpha_magnetic_spectrometer Sito dell’Alpha Magnetic Spectrometer: http://www.ams02.org/ Altre informazioni utili Video sulla Dark Matter: http://www.youtube.com/watch?v=pZGbopE-X2k&feature=player_embedded Video sull’antimateria: http://www.youtube.com/watch?v=mOKJXJ8BsSk&feature=player_embedded Video sull’Alpha Magnetic Spectrometer: http://www.youtube.com/watch?v=GOJsccquXNQ&feature=player_embedded Video dell’installazione di AMS-02 (animazione): http://www.youtube.com/watch?v=9SFislv9lhI&feature=share Album di AMS-02: http://www.flickr.com/photos/ams02/ Informazioni sulla ISS:  http://spacevids.info/


pubblicato anche su TuttiDentro

Sabrina e Umberto

Gliese 581 colpisce ancora

l'ipotetico pianeta Gliese 581g

Non è passato un anno da quando parlai di Gliese 581g, il famoso pianeta intorno ad una debole stellina di classe M3V nella Bilancia scoperto dal team di  Steven Vogt e mai confermato, tant’è che è diventata convinzione abbastanza comune che si sia trattato di una cattiva interpretazione dei dati.

Gliese 581d invece fu scoperto da un team di astronomi guidato da Stéphane Udry dell’Osservatorio di Ginevra utilizzando lo spettrografo HARPS montato sul telescopio di 3,6 metri dell’European Southern Observatory di La Silla, Cile, nel 2007. Il metodo è quello che anche altre volte ho descritto, si tratta quello della misurazione della velocità radiale. Un metodo che se da una parte fornisce le prove dell’esistenza di uno – o come in questo caso – di più pianeti, tutto si riduce poi all’interpretazione delle misurazioni fatte per ricavarne il periodo orbitale applicando la Legge di Gravitazione Universale di Newton (quella della famosa Mela).
Questo è tutto quello che ci è dato sapere su Gliese 581d, b, c, a oppure g, ammesso che esista, ed è sufficiente che il calcolo della massa della stella – ricavato dalla sua luminosità bolometrica assoluta e quindi legata alla sua distanza – si dimostri errato per sconvolgere tutte le ipotesi fino ad allora fatte sui pianeti in orbita.

Gliese 581
Costellazione Libra
Ascensione retta (Α) 15 h 19 m 26 s]
Declinazione (Δ) -07 ° 43 ’20 “
magnitudine app. (V m) 10,5
Distanza 20,3 ± 0,3 Anni Luce
(6,2 ± 0,1 pc )
Tipo spettrale M3V
Massa (M) 0,31 Masse solari
Raggio (R) 0,29 Raggi solari
Temperatura (T) 3.480 ± 48 K
Metallicità [Fe/H] -0,33 ± 0,12
Età 7-11 Miliardi di anni
Elementi orbitali Gliese 581d
Epoch JD 2451409.762 
Semiasse maggiore (A) 0,21,847
± 0,00,028  AU
Eccentricità (E) 0
Periodo orbitale (P) 66,87 ± 0,13 giorni
(0,183 anni )
(1600 ore)
Anomalia media (M) 56 ± 27 °
Semi- ampiezza (K) 1,91 ± 0,22 m / s
Caratteristiche fisiche
Massa minima 5,6 ± 0,6  Masse ter.
Data di scoperta 24 aprile 2007
Scopritori Udry et al.
Metodo di rilevazione velocità radiale
Luogo  della scoperta Osservatorio Silla, Cile

Ipotesi

Perché in fondo si tratta di ipotesi stimate sulla base di una curva di luce che ci dà sicuramente il transito rilevato 1 o sulla deviazione delle righe di assorbimento dello spettro per rilevare le oscillazioni della stella rispetto al suo baricentro.

Proviamo comunque ad interpretare questi dati che abbiamo (non riporterò i calcoli per non pesare, ma è così):
Gliese 581d è 5 o 6 (c’è chi dice 7) volte più grande della Terra che orbita a 30-32 milioni di chilometri dalla sua stella, cioè appena 3/4 dell’orbita di Mercurio, quindi molto probabilmente l’azione mareale del suo sole avrà reso il suo periodo di rotazione sincrono con quello della sua rivoluzione, un po’ come la Terra ha fatto con la Luna.
A quella distanza comunque la quantità di energia che esso riceve dalla sua stella è comunque molto basso, circa il 30% di quello che la Terra riceve ogni secondo dal Sole pur essendo 5 volte più lontana. Ma è ovvio, Gliese 581 è una minuscola stellina grande un terzo del Sole che irraggia quasi tutta la sua energia nella parte più bassa dello spettro elettromagnetico visibile e nell’infrarosso.

Il pianeta di ghiaccio

Per Udry -lo scopritore – Gliese 581d potrebbe essere un pianeta di ghiaccio – una specie di gigantesco Plutone – la cui orbita, prima più esterna, è decaduta nella posizione attuale.
Se l’ipotesi di Udry fosse vera, abbiamo visto come minime variazioni di insolazione durante il perielio di Plutone inneschino una chimica attiva fatta dal carbonio, metano e azoto, figuriamoci in un pianeta composto prevalentemente da ghiaccio e altri composti volatili come il metano  di quelle dimensioni. I composti volatili come il metano e l’anidride carbonica costituirebbero una spessa coltre atmosferica trattenuta dalla consistente gravità del pianeta, innescando un poderoso effetto serra capace di innalzare la temperatura ben oltre il punto di fusione del ghiaccio.
Questo però porterebbe ad una dissoluzione del pianeta, così come Venere non ha più – o forse non ha mai avuto – acqua liquida sulla sua superficie. Nell’arco di qualche centinaio di milioni di anni la palla ghiaccciata …. evaporerebbe a causa dell’effetto valanga innescato dall’effetto serra quando la velocità cinetica dei gas – soprattutto idrogeno – supera la velocità di fuga lasciando solo il nucleo compatto e denso fatto di roccia.  Quindi la fase oceanica non durerebbe poi molto per Gliese 581d.
A questo punto rimane l’ipotesi più probabile, ovvero che Gliese 581d sia un pianeta roccioso, come Venere e Terra.

Il pianeta roccioso

Modello matematico dell'atmosfera di Gliese 581d. Rosso e blu indicano un clima caldo e superficie fredda, mentre le frecce indicano velocità del vento a 2 km di altezza nell'atmosfera. (Credit: © LMD / CNRS)

Lo studio di Robin Wordsworth, François Forget, Franck Selsis, Ehouarn Millour, Benjamin Charnay, Jean-Baptiste Madeleine, pubblicato inizialmente su Arxiv 2 e poi su Astrophisical Journal Letters 3  si basa appunto su questo assunto: un pianeta roccioso 5-7 volte più masssiccio della Terra e che riceve dalla sua stella il 30-35% della quantità di energia della Terra.
Ora sappiamo che Gliese 581d orbita molto vicino alla sua stella, le forze mareali hanno sincronizzato la durata del giorno con quella dell’anno, 66 giorni più o meno. Dovremmo quindi attenderci una faccia del pianeta arrostita dal sole e una perennemente ghiacciata.
No, perché l’atmosfera del pianeta funge da termoregolatore importante redistribuendo il calore su tutto il pianeta, generando magari dei venti importanti, portando la temperatura media al di sopra del punto di congelamento dell’acqua.
Il team ha fatto le sue previsioni climatiche basandosi su un modello 3D di un’atmosfera simile a quella di Venere o della Terra primitiva, dove la chimica del biossido di carbonio e dell’acqua  erano fondamentali per tenere alta la temperatura del pianeta, al di sopra del punto di congelamento dell’acqua per quanto riguarda il nostro 4 e trasformando Venere in un inferno dantesco con una temperatura al suolo di 480° C, nonostante che il Sole di allora fosse del 20% meno luminoso di oggi.
Essendo Gliese 581 una stella che emette soprattutto nell’infrarosso e che la CO2 assorbe proprio intorno a quelle lunghezze d’onda, il cielo del pianeta dovrebbe essere ammantato proprio da un continuo crepuscolo rosso-bruno perché l’atmosfera è resa opaca a quei colori proprio dal biossido di carbonio.

Oppure Gliese 581d non ha un’atmosfera per colpa dei poderosi venti stellari di quando Gliese 581 era ancora una giovane stella, oppure ha una chimica atmosferica diversa, basata sull’idrogeno e elio, e allora queste sono state solo chiacchiere in libertà.

Oppure no?

Intanto ogni volta che si costruisce un’ipotesi scientifica si fa della scienza, e anche le chiacchiere quindi lo sono. Poi abbiamo iniziato a comprendere che l’evoluzione fisica di un pianeta non è disgiunta dalla sua atmosfera e che la composizione chimica di questa ha una notevole influenza nell’estendere la fascia Goldilocks ben al di là della mera equazione dell’inverso del quadrato della distanza dalla stella. Per finire è sorta la necessità che vengano compiute analisi spettroscopiche delle atmosfere dei pianeti extrasolari che avranno bisogno di nuovi e più sofisticati strumenti di indagine, con importanti ricadute tecnologiche, come sempre accade  in questi casi.

Idrocarburi sintetici da scisti bituminosi (I parte)

Carrozza a cavallo in Central Park, New York Credit: Library of Congress: LC-DIG-ggbain-00138

I periodi di transizione sono in assoluto i più difficili: il treno e l’automobile dovettero superare molti pregiudizi prima di affermarsi come strumenti di locomozione. Alla fine del XIX secolo le scoperte scientifiche di Pasteur costrinsero le amministrazioni pubbliche a risolvere  i problemi di trasporto urbano all’interno delle grandi metropoli come New York, Parigi e Londra.
All’inizio furono i tram elettrici (i filobus) a cavallo del 1890-95  che andarono a sostituire parzialmente i sistemi di locomozione  animale, i quali generavano una quantità immensa di sporcizia, ritenuta – a ragione – responsabile di decine di migliaia di morti per febri tifoidi nei grandi centri urbani americani.
Alle automobili, inventate agli inizi del XX secolo, era proibito l’uso nelle città, ma poi la necessità di disporre di una sempre maggiore e flessibile mobilità e la necessità di eliminare del tutto  l’uso di animali per la locomozione 1 si unirono e aprirono le porte all’uso delle automobili anche nelle città.

Adesso lo stesso problema esiste sul fronte energetico: se centotrenta anni fa la necessità di avere nuove tecnologie di locomozione più pulite  hanno anche ristretto le dimensioni del mondo per l’uomo e le merci, oggi la tecnologia energetica non ne vuol sapere di rinnovarsi e di cercare soluzioni ai problemi ambientali e climatici che essa pure  ha prodotto, nonostante gli innumerevoli vantaggi di cui il genere umano beneficerebbe.
Ormai l’industria del petrolio ha raggiunto i suoi massimi estrattivi di sempre, il famoso picco di Hubbert è stato o quasi raggiunto. La disponibilità di estrarre petrolio facilmente sta diventando un ricordo e ormai sta diventando sempre più economico – anche se più caro  – estrarre petrolio da piccoli giacimenti di scarsa qualità come quelli che esistono al largo delle isole Tremiti 2.

Addirittura adesso sta diventando conveniente recuperare gli idrocarburi fossili dal fango e da un tipo particolare di roccia: lo scist0 bituminoso, con orribili conseguenze ambientali, che purtroppo in una logica di profitto diventano del tutto secondari.

Gli scisti bituminosi

Le argilliti
Le argilliti sono rocce sedimentarie originate da altri  sedimenti precedenti che hanno subito un cambiamento fisico o chimico (diagenesi) che ne altera la composizione originale.

Mappa dei depositi di gas da scisti bituminosi nel mondo. Credit: U-S. Energy Information Administration - Wikipedia

Gli scisti bituminosi sono rocce nere di origine sedimentaria ricche di materiale organico non ancora trasformato in  petrolio. In pratica i depositi di scisti bituminosi possono essere considerati i precursori dei giacimenti di petrolio (in inglese oil shales o black shales).
Conosciuti anche come argilliti petrolifere, queste possono essere usate direttamente come materiale combustibile 3 o lavorate per estrarne  gli idrocarburi e i gas (gas di scisto) che le compongono per un utilizzo più tradizionale.
Nel mondo sono diversi i siti censiti, perlopiù in Nord Europa, Stati Uniti, Canada e Brasile 4.
Il problema è che sfruttare questi giacimenti non è altrettanto semplice quanto sfruttare un normale pozzo di petrolio e, se i campi petroliferi non sono proprio il massimo dal punto di vista dell’impatto ambientale, i campi di scisti sono proprio devastanti.

Gli olii da scisti

 

Combustione dell'olio di scisto

Il  più comune metodo di estrazione è quello a cielo aperto . Questo sistema consiste nel rimuovere la maggior parte del terreno sovrastante per esporre i depositi di argillite petrolifera. Pratico,  se i depositi sono in superficie. Nel caso di depositi di scisti bituminosi sotterranei, si possono utilizzare i metodi classici simili a quelli usati per le miniere di carbone.

L’estrazione degli elementi utili dallo scisto bituminoso avviene solitamente  in luoghi diversi dai siti di estrazione, anche se diverse tecnologie più recenti consentono il processamento delle argilliti in loco. In entrambi i casi, un processo di pirolisi, ossia un riscaldamento in assenza di ossigeno ad una temperatura che varia tra i 450°C e i 500°C, trasforma il cherogene contenuto nello scisto bituminoso in olio di scisto (conosciuto anche come petrolio sintetico) e gas di olio di scisto.
Il trattamento in-situ comporta il riscaldamento degli scisti bituminosi direttamente nel sottosuolo. Questa tecnologia è potenzialmente in grado di estrarre più petrolio a parità di superficie rispetto ai sistemi tradizionali  ex-situ, in quanto consente di sfruttare a pieno le capacità produttive della miniera.
Alcune argilliti petrolifere sono ricche anche di altri elementi,  come zolfo, ammoniaca, allumina e anche … uranio 5 6.
L’olio di scisto derivato ​​da scisti bituminosi non è comunque adatto a sostituire il petrolio greggio in tutte le applicazioni. Esso può essere comunque ricco di alcheni, ossigeno e azoto in percentuali significativamente maggiori rispetto al greggio convenzionale.  Alcuni oli di scisto possano presentare una maggiore contenuto di zolfo o di arsenico o di altri metalli pesanti anche di 20 o 30 volte. Questorende l’olio di scisto più adatto per la produzione di distillati medi, come il kerosene , il carburante per aerei , e il diesel per autotrazione. Solo attraverso processi di raffinazione  adeguati come il cracking è possibile trasformare l’olio di scisto in idrocarburi leggeri come la benzina.

Diagramma dei processi di lavorazione degli scisti bituminosi: Credit: Office of Naval Petroleum and Oil Shale Reserves, U.S. Department of Energy, Wikipedsia

L’impatto ambientale  è ovviamente  più accentuato nelle miniere di superficie che in quelle sotterranee. Tra i più importanti sono il  drenaggio acido provocato dall’ esposizione improvvisa e conseguente ossidazione dei materiali sepolti, il rilascio di metalli pesanti, come visto sopra, tra cui il mercurio nelle acque di superficie e sotterranee, l’aumento dell’erosione, le emissioni di zolfo e anche l’inquinamento atmosferico causato dalla produzione di particolato durante l’attività estrattiva e il trasporto.
L’attività estrattiva può danneggiare il valore biologico del territorio e l’ecosistema della zona mineraria. La necessità di riscaldare il cherogene genera materiale di scarto ed emissioni di diossido di carbonio, uno dei  gas responsabili dell’effetto serra.
Gli ambientalisti si oppongono giustamente allo sfruttamento di olio di scisto, in quanto la sua produzione – e il successivo utilizzo – genera più gas serra anche rispetto ai tradizionali combustibili fossili, tant’è che l’Energy Independence and Security Act proibisce agli enti governativi degli Stati Uniti di acquistare l’olio prodotto da processi che producono più emissioni di gas a effetto serra di quanto potrebbero fare i prodotti petroliferi tradizionali.
Alcune tecniche sperimentali di cattura e stoccaggio della CO2 possono mitigare alcuni di questi problemi in futuro, ma allo stesso tempo possono causare altri problemi, tra cui l’onnipresente inquinamento delle falde acquifere.
Altra contaminanti dell’acqua comunemente associati alla lavorazione dell’olio di scisto sono gli idrocarburi eterociclici 7.
Ma forse uno dei danni maggiori riguarda proprio l’uso eccessivo di acqua necessaria per l’estrazione: a seconda della tecnologia estrattiva utilizzata si arriva a consumare da 1 a 5 litri di acqua per ogni litro di olio di scisto prodotto, in Estonia -paese di riferimento che fa largo uso di questa tecnologia energetica – nel 2002 l’industria petrolifera consumò circa il 91% dell’intera acqua consumata nel paese! Altri studi rilasciati dal  Bureau of Land Management degli Stati Uniti confermò simili analisi 8 9.

 

 

fine prima parte

Astronomy Day 2011

in collaborazione con Sabrina Masiero

Con un personal computer oggi si possono pianificare in anticipo i momenti osservativi e visualizzarli graficamente senza perdersi in noiosissimi e lunghi calcoli. I computer li fanno al nostro posto. Credit: Il Poliedrico.

Fare scienza significa ragionare. Ragionare significa essere creativi, con un pizzico di sano scetticismo, il che non guasta mai.
Ma fare scienza oggi è difficile, costoso e necessita di tecnologie all’avanguardia?
Dipende, se vogliamo studiare la struttura della materia elementare, dell’infinitamente piccolo probabilmente è così, ma quando si tratta di studiare l’infinitamente grande, no.
O almeno si possono usare le stesse tecnologie che servono per chattare, navigare su Internet o scrivere un testo col computer.
La scienza che studia l’infinitamente grande è l’astronomia, di cui il 7 maggio si festeggia la giornata mondiale, e che lo si creda o no, è la scienza più antica inventata dall’uomo.
Da quando i primi arboricoli scesero dagli alberi e impararono a cacciare nelle savane africane, questi si accorsero del dominio delle stagioni nel mondo che li circondava.
L’avvento dell’agricoltura e della stanzialità rese più evidenti i fenomeni legati alle stagioni e all’andamento dei cicli lunari e solari, come dimostra l’osso di Ishango, datato 20000 anni fa.
Eppure finora, dopo 200 secoli, gli unici strumenti necessari per fare astronomia sono ancora gli occhi per osservare e la capacità di ragionare. Il cannocchiale prima e il telescopio poi, inventati a partire dal XVII secolo sono solo strumenti accessori, come lo sono anche i satelliti artificiali e le sonde spaziali: senza la capacità tutta squisitamente umana di ragionare sui dati che queste meraviglie restituiscono ogni istante, questi sarebbero solo degli splendidi oggetti da esibire nel salotto buono.

Ancora oggi, nel momento in cui il costo dei prodotti tecnologici è basso, è possibile fare ricerca astronomica a ottimi livelli usando solo lo spirito di osservazione. Come è stato ribadito più volte anche su questi nostri blog, osservare e annotare fenomeni apparentemente banali come una eclissi di Luna, oppure seguire l’andamento della visibilità della luce cinerea o contare le tracce del picco visuale di uno sciame di stelle cadenti, è importante, perché a saper interpretare correttamente questi dati, si ottengono molte più informazioni di quante ce ne potessimo aspettare solo vedendo gli stessi fenomeni.

Lo sciame delle Perseidi. Credit: NASA

Oggi poi con l’avvento dei personal computer, come quello con cui state leggendo questo articolo, è tutto più facile. Carte celesti, effemeridi sempre aggiornate, pianificazione di eventi particolari futuri, archiviazione ed elaborazione dei dati raccolti, ora tutto questo è molto più semplice rispetto al passato.
Internet e le tecnologie di condivisione oggi mettono a disposizione di chiunque la possibilità di comprare tempi di osservazione del cielo su strutture semi professionali remote senza la necessità di acquistare apparecchiature costose e spesso poi sottoutilizzate rispetto alle loro capacità per motivi di tempo, di spazio o anche più semplicemente di volontà o capacità. Eppure le cose che ancora realmente servono per fare ricerca astronomica sono solo spirito di osservazione e ragionamento.

Come diceva un mio caro amico parroco, “Più siamo e meno si lavora ciascuno” o visto in altri termini non prettamente matematici, “La somma delle parti è maggiore dell’intero”, nella ricerca scientifica essere gruppo aiuta tantissimo, per questo un po’ ovunque nel mondo sono sorti dei circoli di astronomi cosiddetti non professionisti, detti anche amanti dell’astronomia o astrofili, ma che in realtà esprimono una professionalità degna di molti ricercatori universitari, tanto che discorrendo con molte di queste figure potrebbe sorgere qualche dubbio che la loro occupazione professionale reale sia soltanto un hobby stravagante.
Proprio per promuovere lo spirito di osservazione e mostrare alla gente la bellezza della ricerca astronomica ogni anno si celebra nel mondo una giornata proprio destinata all’astronomia.
L’Astronomy Day è una celebrazione globale dell’astronomia che ha lo scopo di promuovere l’interazione tra il pubblico, gli appassionati di astronomia e i professionisti.
Il tema che sta alla base dell’Astronomy Day è “Bringing Astronomy to People“, ossia portare l’astronomia alla gente.

Per convenzione il giorno dedicato all’appuntamento cade di sabato, tra metà aprile e metà maggio, quando la Luna è al primo quarto o poco prima del primo quarto. Questo comporta che la data dell’Astronomy Day non sia mai fissa, ma cambi di anno in anno, un po’ come la Pasqua. Se andiamo indietro di qualche anno, nel 2008 l’Astronomy Day cadde il 10 maggio, nel 2009 il 2 maggio e l’anno scorso il 24 aprile. Quest’anno cade il 7 maggio, l’anno prossimo si presenterà il 28 aprile, nel 2013 il 20 aprile, nel 2014 il 10 maggio e così via. Con un semplice calcolo nella fase della Luna si possono determinare anche gli anni successivi.
Sfortunatamente L’Astronomy Day non sembra aver mai avuto grande risonanza mediatica in Italia, anche se da ben dodici anni si celebra la Settimana Nazionale dell’Astronomia che quest’anno è caduta tra il 13 e 18 aprile, organizzata dalla Società Astronomica Italiana (SAIt), in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) e con l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF, sito web: http://www.inaf.it/struttura-organizzativa/dsr_1/didattica_divulgazione/divulgazione/sett_astro).
Il tema di questa edizione è stato scelto per celebrare anche il 150° anniversario dell’Unità d’Italia: “Scienziati e Scienza per l’Unità d’Italia”. Gli osservatori e le sedi dell’INAF sono stati aperti al pubblico per avvicinare le persone al mondo dell’astronomia moderna e riscoprire come questa disciplina veniva studiata 150 anni fa.

Su astroleauge.org (http://www.astroleague.org/AstronomyDay/AstronomyDay-2011-05.html) si trova la lista completa dei luoghi dove l’Astronomy Day viene celebrato in America. A livello internazionale, L’Inghilterra, Canada, Nuova Zelanda, Finlandia, Svezia, Le Filippine, Argentina, Malaysia, Nuova Guinea e altri paesi hanno celebrato questo giorno con varie attività a carattere culturale.
Per avere un’idea delle iniziative locali si può consultare la pagina:
http://www.astroleague.org/al/astroday/astroday.html .

In tutto il corso dell’anno molte sono le iniziative promosse dai vari gruppi astrofili italiani che organizzano periodicamente incontri con esperti, osservazioni astronomiche che coinvolgono il pubblico generico, visite guidate, quiz e laboratori per i visitatori di ogni età.
Spesso i planetari sono gestiti propri dagli astrofili stessi. È sicuramente un momento davvero affascinante entrare in un planetario e scoprire come avvengono i moti apparenti delle stelle, del Sole della Luna nel cielo ogni giorno.
Purtroppo, infatti, sempre più spesso ci si dimentica della vastità di quanto sta sopra alle nostre teste presi come siamo nel turbinio di offerte della televisione, dai videogiochi e altri passatempi
mondani.

NASA Astronomy Picture of the Day 12/4/2010 - Credit & Copyright: Josselin Desmars

Un tempo l’osservazione del cielo avveniva in modo molto più spontaneo e diretto. L’assenza di inquinamento luminoso dovuto alle luci artificiali permetteva l’osservazione della Via Lattea – ormai praticamente inosservabile nelle nostre città – delle stelle e dei pianeti, tant’è che oggi particolari fenomeni celesti particolarmente visibili come le grandi congiunzioni dei pianeti Venere e Giove (i due corpi celesti più luminosi visibili dalla Terra dopo Sole e Luna) spesso sono stati scambiati per UFO!
Ora l’osservazione diretta del cielo è diventata davvero molto difficile. Ma l’entusiasmo di conoscere e comprendere come i fenomeni celesti avvengono c’è ancora, questo lo si nota constatando che il numero di adesioni presso i Circoli Astrofili pian piano aumenta.
È importante che ci sia un risveglio del desiderio di conoscenza nella gente e la voglia di riscoprire la dimensione umana e perché no, anche di alcune nostre vecchie tradizioni un tempo legate proprio al cielo, al trascorrere del tempo e delle stagioni.
Invece l’atavico desiderio che spesso spinge a credere nei destini preordinati da oroscopi, cartomanti e maghi, è sinonimo di pigrizia, la stessa che ci ha fatto dimenticare che in fondo siamo tutti figli delle stelle.

 

Lo stesso articolo è disponibile su TuttiDentro di Sabrina Masiero che ringrazio per l’idea e il grande contributo a questo articolo.

Umberto e Sabrina

Trascinamenti nella quarta dimensione

Albert Einstein

Metti uno, due (meglio abbondare), quattro giroscopi in orbita. Ora  fai in modo che gli assi dei giroscopi puntino tutti verso una stella lontana lontana, in modo che la parallasse di questa sia più che trascurabile. Poi siediti e aspetta.
Libero da forze esterne, l’asse dei giroscopi dovrebbe continuare a indicare sempre la solita stella lontana lontana, o almeno così ci insegnavano i vecchi professori di fisica ai licei da sempre. Ma se lo spazio si piega sotto il peso di una massa, come sosteneva un omino dagli  improbabili capelli bianchi e baffetti dello stesso colore, allora la direzione dell’asse dei giroscopi dovrebbe subire una  deriva nel tempo.

Quarzo fuso
Il quarzo fuso è un vetro particolare ottenuto dalla fusione di cristalli di quarzo estremamente puro. Le proprietà ottiche e termiche di questo vetro  sono superiori a quelli di altri tipi di vetro per la sua purezza, consente una migliore resa nell’ultravioletto e Il suo basso coefficiente di espansione termico lo  rende inoltre un materiale particolarmente adatto per la costruzione di specchi di precisione.

In pratica è quello che hanno fatto quei giocherelloni di scienziati della NASA insieme a quelli di Stanford con il satellite Space Probe B (la versione A fu lanciata nel 1976 1).
I ricercatori hanno voluto misurare l’entità della curvatura dello spazio-tempo e per farlo hanno costruito 4 giroscopi superconduttori il cui componente principale è una pallina delle dimensioni di una da ping pong fatta di quarzo fuso ricoperta di niobio, costruita con una precisione tale da avere uno scarto di apena 40 atomi nel diametro (meno di 10 nm).

 

Le palline di quarzo fuso e niobio, fondamentali nei giroscopi criogenici . Credit:NASA

Il problema principale era quello di isolare i giroscopi da tutte le possibili interferenze di sia di natura interna che esterna. Questo è stato risolto racchiudendo i giroscopi in una struttura di piombo sotto vuoto spinto chiamata dewar 2 e raffreddata con elio liquido a 1,7° Kelvin (circa -271°C)  3. A quella temperatura il piombo diventa un semiconduttore che cortocircuita il campo magnetico terrestre,  isolando così i giroscopi, tantè che all’interno del dewar ogni interferenza magnetica era ridotta a meno di 3 micro Gauss 4
Il satellite Gravity Probe B fu lanciato nel 2004 in orbita polare ad appena 642 chilometri di quota, appena al di fuori dell’atmosfera per un periodo di volo di 17 mesi, sufficienti per raccogliere abbastanza dati per rilevare come lo spazio-tempo intorno alla Terra fosse curvato esattamente come la Relatività Generale prevede. La stella a cui hanno fatto riferimento gli assi dei giroscopi è IM Pegasi, una stella varabile binaria distante circa 329 anni luce nella costellazione  Pegaso. Questa è stata scelta perché è anche una notevole fonte di microonde, il che ha permesso di essere costantemente seguita dalla rete internazionale di radiotelescopi. Il monitoraggio continuo della stella da Terra  ha permesso di conoscerne la posizione assoluta rispetto ai giroscopi in orbita.

Credit: NASA

Per finire, dopo cinque anni di analisi dei dati dalla fine della missione, il risultato è che è stata misurata un precessione geodetica 5 di 6.606 più o meno 0,017 secondi d’arco e un effetto di trascinamento del campo 6 di 0,039 più o meno 0,007 secondi d’arco. Superfluo dire che entrambi i valori rilevati sono in preciso accordo con le previsioni della Relatività Generale di Albert Einstein. Ulteriori dettagli e animazioni sono disponibili qui sul sito dell’Università di Stanford.

Il supervisore del progetto, Francis Everitt – che somiglia tantissimo al buffo ometto di prima –  ha ricordato un suggerimento che una volta gli dette il suo relatore di tesi e Premio Nobel Patrick MS Blackett: “Se non riesci a pensare a cosa fare dopo la fisica, inventa qualche nuova tecnologia, e questa porterà a nuova fisica”.

“Beh,” dice Everitt, “abbiamo inventato 13 nuove tecnologie per il Gravity Probe B. Chissà dove questo ci porterà….”

Un’ultima curiosità: il progetto Gravity Probe B è  finanziato dal 1963, sono passati 47 anni prima di avere un risultato.
Ma che risultato: se amate usare il vostro navigatore satellitare, sappiate che la tecnologia che li fa funzionare tiene conto anche degli effetti relativistici rilevati dagli esperimenti come questo…