Le origini della Vita (prima parte)

«Da questo spirito poi, che è detto vita dell’universo, intendo nella mia filosofia provenire la vita et l’anima a ciascuna cosa che have anima et vita, la qual però intendo essere immortale; come anco alli corpi. Quanto alla loro substantia, tutti sono immortali, non essendo altro morte».
Giordano Bruno

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Giordano Bruno a
Campo de’ Fiori (Roma)
Nei giorni scorsi Stephen Hawking ha fatto un’affermazione che per gli scienziati è abbastanza scontata, basta leggersi qualsiasi intervista o lavoro sull’argomento “forme di vita extraterrestri” prodotto dalla comunità scientifica per scoprire le stesse cose. Hawking ha solo presentato una serie di documentari per Discovery Channel che subito i media, profani, di tutto il mondo hanno gridato al pericolo extraterrestre.
Ma cosa ha detto mai Hawking?
Hawking ha cercato solo di spiegare che in universo composto da miliardi di galassie ognuna di esse con centinaia di milioni di stelle è assai improbabile che la vita (per Grazia Divina) si sia sviluppata soltanto qui sulla Terra, è quello che dai tempi di Giordano Bruno la Scienza cerca di dire e che alle persone di buon senso questa affermazione appare ovvia, anch’io ho trattato quest’argomento agli albori  di questo Blog con una serie di articoli (Dove sono l’omini verdi(prima parte)(seconda parte)(terza parte) ).
Poi Hawking ha affermato che molte di queste altre forme di vita potranno essere soltanto degli organismi semplici, anche per la Terra è stato così per gran parte della sua esistenza (da 3,8 miliardi di anni fa fino a 600 milioni di anni fa, Precambriano). Le relativamente poche forme di vita intelligente, potrebbero costituire una potenziale minaccia per il genere umano come lo è stato nella storia del genere Umano ogni volta che civiltà più evolute tecnologicamente si sono incontrate con quelle meno progredite, per questo bastano e avanzano gli esempi storici dell’avanzata europea nel mondo: gli spagnoli in Sud America, gli inglesi in Asia e Nord America, etc.
Un’altro pericolo reale è che queste altre forme di vita possono essere portatori di letali malattie come lo è stata per noi la peste nel XIV secolo o il virus Ebola (nel libro “La guerra dei mondi” di Herbert George Wells i marziani devastano le città terrestri ma muoiono tutti a causa delle malattie di cui noi però possediamo gli anticorpi), ma lo stesso può valere per l’inverso.
Più o meno le stesse cose le affermava anche Carl Sagan ad esempio, anche se per Sagan il contatto con altre civiltà sarebbe potuto esserci solo per via radio, viste le distanze siderali che ci separerebbero dalle altre civiltà, praticamente insormontabili per la fisica come la conosciamo, ma efficaci, come ho anch’io illustrato nei miei suddetti precedenti articoli, di gettare nel panico le nostre convinzioni basate sull’unicità dell’Uomo nell’Universo e di sconvolgere la nostra civiltà.

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Rappresentazione artistica
della fascia degli asteroidi
Cortesia NASA

Ora, è notizia di queste ore, che una ricerca guidata dall’astronomo Andrew Rivkin della Johns Hopkins University durata sei anni, abbia portato alla scoperta di acqua e composti organici a base carbonio sull’asteroide 24 Themis, che orbita nella fascia principale di asteroidi  a 479 milioni di chilometri dal Sole, L’eccezionalità della scoperta è che a quella distanza si riteneva improbabile che l’acqua si potesse essere conservata per 4,6 miliardi di anni, dalla nascita del Sistema Solare, ma il bello della Scienza è quello di dubitare sempre sui dogmi e di rimettersi continuamente in gioco e così che è stata fatta la scoperta.
La scoperta di acqua nel nostro sistema solare non è propriamente una novità, sappiamo che essa esiste sulle lune dei pianeti esterni, nelle comete e recentemente è stata scoperta anche sulla Luna. Sappiamo anche di composti organici a base carbonio scoperti nelle comete (sonda Giottocometa di Halley, 1986) e nell’Universo grazie ai radiotelescopi.
Quello che sta a significare la scoperta è che essa è un’altro importante punto a favore all’ipotesi che la vita, o comunque i suoi mattoni fondamentali possono essere nati al di fuori ,e comunque non necessariamente, sulla Terra.
Questa è la teoria della Panspermia.
Ora se credete che l’Universo sia nato il 23 ottobre del 4004 a.C. verso mezzogiorno, ossia siete dei Creazionisti, vi conviene fermarvi qui e non andare oltre, perché l’argomento di cui parlerò nella second

a parte potreste giudicarlo blasfemo.

(continua)

Una mira… spaziale.

Rappresentazione artistica
della missione (Cortesia NASA)

Voleteanalizzare la composizione interna di un pianeta a 1,3 miliardi dichilometri? Facile!

Prendeteuna sonda di due tonnellate e mezzo e scagliatela nello spazio conmolta buona mira e se sarete fortunati dovreste riuscire a farlatransitare intorno all’oggetto in indagine ad appena 100 chilometridi distanza, prestando molta attenzione ai suoi segnali radio diritorno, che intanto udirete appena e con un’ora e dodici minuti diritardo.
Encelado

Sequalcuno di voi dice che è impossibile, è perché non ha mailavorato al Jet Propulsion Laboratory, perché proprio in queste ore(tra il 27 e il 28 aprile) si sta concludendo un esperimentoscientifico simile: la sonda Cassini-Huygens è stata fattatransitare ad appena 100 chilometri dalla superficie di Encelado, unaluna di Saturno, e verranno studiate le anomalie gravitazionalidell’orbita della sonda, rilevate appunto ascoltando i segnali radiotrasmessi da questa.

Nelfrattempo la Cassini-Huygens dovrebbe riuscire a fotografare anche ilpennacchio d’acqua che fuoriesce dalla regione polare sud diEncelado.

Certo, al Jet Propulsion Laboratory hanno una buona mira, non credete?

Domani ci sarà sempre un’altra alba.

Una bellissima alba colorata o un bel tramonto rosso vermiglio può essere il frutto delle polveri del vulcano Eyjafjallajökull ma anche degli incendi tropicali, degli scarichi delle auto e di tutte le altre fonti di inquinamento. Forse anche dell’estremo tentativo di salvare le coste della Louisiana dalla marea nera che fuoriesce continuamente dalla piattaforma petrolifera affondata nei giorni scorsi nel Golfo del Messico incendiando il petrolio.
Questa piattaformaè affondata certamente per un Errore Umano, sì avete capito bene: Errore Umano. L’errore fisico, ultimo, che ha portato alla deflagrazione non so come sia accaduto e francamente non mi importa. L’Errore Umano c’è quando per puro profitto, convenienza o per inazione si violenta l’Ambiente.
Nella tradizione buddista quando qualcuno muore le cerimonie di commemorazione si protraggono per molto tempo. Si chiamano Hoji, ma non sono dei servizi commemorativi come le nostre funzioni. In giapponese Hoji significa “via dell’insegnamento” e serve a insegnare il concetto di interconnessione tra le cose e gli eventi, l’uno precede o ne è conseguenza di un altro gesto e così via. Diversamente da altre religioni, in cui i credenti possono usare Dio come un capro espiatorio a cui attribuire ogni genere di catastrofi, nel buddismo vi è un forte senso di responsabilità personale per  l’interconnessione delle cose. Cosa altrettanto importante, si insiste sul senso scientifico sulle leggi della causalità e non attraverso il misticismo soprannaturale proprio delle superstizioni.
Quindi quello che noi occidentali dovremmo imparare dalla filosofia buddista è che ogni nostro singolo gesto, ogni nostra singola scelta porta ad altre conseguenze, magari inattese, ma di cui invece dovremmo magari un giorno render conto.
L’inquinamento ambientale è il prodotto finale delle nostre richieste e le nostre scelte, e la quantità di questo iniettato nell’atmosfera impallidisce in confronto alla polvere vulcanica del vulcano islandese, i danni ambientali prodotti dalla macchia di greggio, fuoriuscita dalla piattaforma esplosa, sotto la superficie del mare comprometteranno la quantità e la salubrità dei frutti di mare negli anni a venire e queste conseguenze influiranno a loro volta sulla vita di altre specie che adesso non prendiamo neppure in considerazione.
Sul nostro pianeta, esseri viventi e sistemi non viventi sono interconnessi, Volenti o nolenti la nostra simbiosi con l’ambiente che ci circonda è totale, solo che ce lo siamo volutamente dimenticato.
Come dice il detto comune “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”, è così che ci comportiamo quando si tratta di danni ambientali. La maggior parte di noi esprime preoccupazioneper l’ambiente quando accade qualcosa, ma col passare dei giorni l’attenzione dei media scompare e ci si dimentica del disastro, abbiamo una memoria troppo corta. Non ci rendiamo conto che ogni grande catastrofe ambientale, così come spesso quasi ogni nostra azione quotidiana ha un cartellino col prezzo da pagare nel lungo periodo, un po’ come il “prendi oggi e paghi a rate fra un anno”. Gli effetti a catena che si ripercuotono sia attraverso i sistemi viventi che quelli non viventi possono essere piccoli o non misurabili singolarmente, ma prima o poi portano sempre indietro la loro cambiale.

Così la prossima volta che ci godremo un’altra alba o un tramonto, o che ascolteremo il canto di un uccello, o oppure  che respiriamo, ripensiamo agli infiniti punti di contatto che abbiamo col nostro pianeta e a quanto effimeri siamo nei suoi confronti. Facciamo un Hoji personale, torniamo ad apprendere dal mondo che ci circonda. Non nascondiamo la testa sotto la sabbia continuando ad ignorare la realtà delle conseguenze delle nostre scelte e delle nostre azioni.

La prima luce del Solar Dynamics Observatory

447362main_f_211_193_171_946-710[1]Alcuni di voi avranno certamente notato l’aggiunta nel Blog di una nuova pagina che indica i principali dati riguardanti l’attività solare e il flusso di plasma solare che investe il nostro pianeta e che dà luogo a quei spettacoli meravigliosi chiamati aurore polari. Ora voglio mostrarvi una meravigliosa
clip (questa qui sopra) ripresa dal nuovo satellite astrofisico  SDO (Solar Dynamics Observatory) lanciato l’11 febbraio scorso e che dopo le necessarie calibrazioni degli strumenti ha iniziato ad inviare sulla Terra le sue prime immagini che, come quella qui a fianco, promettono una qualità di dettaglio 10 volte maggiore di una tv in alta definizione e raccoglierà dati scientifici migliori e più velocemente degli strumenti messi in orbita finora. L’AIA è l’acronimo di Atmospheric Imaging Assembly ed è stato progettata per fornire una visione senza precedenti della corona solare, prendendo le immagini che si estendono per almeno 1,3 diametri solari in diverse lunghezze d’onda quasi contemporaneamente, ad una risoluzione di circa 1 secondo d’arco e con una cadenza di  circa 10 secondi. L’obiettivo scientifico  del Science AIA Investigation è quello di migliorare la nostra conoscenza della fisica dell’atmosfera solare, per poter poi anche sviluppare un modello predittivo dell’eliosfera negli ambienti planetari. L’AIA produrrà i dati necessari per gli studi dell’evoluzione del campo magnetico coronale e del plasma in esso contenuto, sia nelle fasi di riposo  che durante i brillamenti ed eruzioni.

Certo che simili studi sono estremamente importanti se vogliamo, per ora  purtroppo soltanto ipotizzare, imbarcarci in missioni umane al di fuori dello scudo della nostra magnetosfera, come ad esempio un ritorno stabile sulla Luna o una spedizione con equipaggio verso Marte.

Certo, a vedere questo filmato di una vera eruzione solare, mi aspetterei anche di vedere il vascello Voyager del Capitano Janeway sfrecciarci in mezzo, come qui.

Buon compleanno Hubble

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Hubble visto dallo Space Shuttle

Quando nel 2004 la NASA annunciò di chiudere il programma dell’Hubble Space Telescope, l’agenzia ricevette una lettera da una bambina di 9 anni che volle donare la sua paghetta per il pranzo per salvare Hubble. Quella lettera, tra  le innumerevoli altre,questa spiega meglio l’amore e il successo che ha l’osservatorio presso il pubblico, che compie 20 anni questo mese.

Dal suo lancio il 24 aprile 1990, Hubble è più volte risorto dalle sue ceneri per produrre immagini di una nitidezza e di una bellezza ineguagliabili. L’osservatorio ha registrato quasi un milione di immagini e spettri in circa 110.000 viaggi intorno alla Terra. Tra le sue cartoline cosmiche Hubble ha catturato i lividi segni lasciati su Giove da frammenti di una cometa, morenti stelle avvolte in gusci di gas incandescente, esili braccia di galassie a spirale e nebulose risplendenti di luce di stelle appena nate.

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Giove in luce ultravioletta mostra
l’impatto della cometa Shoemaker-Levy 9

Non male per un telescopio nato miope per colpa del suo specchio primario imperfetto. Poco dopo gli astronauti risolsero il problema nel corso di una serie di passeggiate spaziali alla fine del 1993, Hubble allora cominciò a vedere come ci si aspettava, come il primo grande telescopio in luce visibile sopra l’atmosfera che distorce le immagini sulla Terra. Il telescopio ha più volte riscritto i libri di astronomia. Forse ancora più drammaticamente, Hubble ha fornito prove chiave che dimostrano l’accelerazione del tasso di espansione cosmica, ha costretto gli scienziati a ipotizzare l’esistenza della materia oscura. Hubble ha anche consegnato convincenti prove  che confermano che l’Universo si è evoluto in un modo previsto dalla teoria del Big Bang. Più vicino a noi, Hubble ha registrato una delle prime immagini di un pianeta al di là del sistema solare.

223974main_wildgalaxies1_20080424_HI[1]Eppure, nonostante tutti i progressi scientifici dovuti ad Hubble, la bellezza delle sue immagini è tra le sue realizzazioni più apprezzate. Le immagini di Hubble sono nei musei, adornano copertine degli album e sono apparse in film importanti. Le sue gallerie di immagini online ricevono circa 200 milioni di visite al mese.
Lo scorso maggio, gli astronauti hanno aggiornato e riparato Hubble aggiungendoci una nuova macchina fotografica a infrarossi con cui sono già state individuate le galassie ritenute le più distanti mai registrate. Perché guardando in profondità nello spazio significa anche vedere oggetti molto indietro nel tempo, le immagini rivelano come erano le prime galassie qualche centinaio di milioni di anni dopo il Big Bang.

Di nuovo, buon compleanno, Hubble… 100 di  questi giorni…

Elettricità nei crateri lunari

Il vento solare scorrendo sugli ostacoli naturali, può generare cariche elettriche nei crateri lunari ai poli  di centinaia di volt, secondo i nuovi studi  del team Lunar Science Institute della NASA. Quindi l’ambiente lunare non è poi così statico come insegnano ancora a scuola, ma ci sono forze, in questo caso elettriche, in grado di plasmare la superficie in modi che a stento possiamo immaginare e che dovremmo invece tenere ben presenti quando infine colonizzeremo il nostro satellite.
I crateri lunari dei poli sono di estremo interesse a causa delle risorse, tra cui il ghiaccio d’acqua, che lì esistono. L’orientamento della Luna col Sole permette al  fondo dei crateri polari di essere permanentemente in ombra, consentendo alle temperature di non superare i -240° celsius, temperatura   sufficiente per mantenere allo stato solido una sostanza volatile come l’acqua per miliardi di anni.

Tuttavia, la nostra ricerca suggerisce che, oltre all’intenso freddo, i robotesploratori sul fondo dei crateri lunari polari dovranno fare i conti con un  complesso ambiente di cariche elettriche, che possono influenzare la chimica di superficie  e la polvere che si  appiccica per effetto delle cariche elettrostatiche” ha detto William Farrell della NASA’s Goddard Space Flight Center, Greenbelt. Md. Farrell è autore di un articolo su questa ricerca pubblicata il 24 marzo sul Journal of Geophysical Research. La ricerca fa parte del progetto del Lunar Science Institute sulle risposte dinamiche ambientali lunari (Dream[1]).
Questo importante lavoro del dottor Farrell e della sua squadra è un’ulteriore prova che la nostra visione sulla Luna è cambiata radicalmente negli ultimi anni” ha detto Gregory Schmidt, vice direttore del NASA Lunar Science Institute alla NASA Ames Research Center, MoffettField,  California  “È un ambiente dinamico e affascinante che stiamo solo cominciando a capire.
Il costante flusso di vento solare può erodere la superficie dei crateri in cui sono state recentemente scoperte molecole d’acqua. Le scariche statiche potrebbero in breve tempo guastare sensibili attrezzature, mentre la polvere lunare, che è molto abrasiva, potrebbe logorare tute spaziali e può essere pericolosa se riesce ad entrare all’interno di veicoli spaziali e respirata per lunghi periodi.
rappresentazione grafica
del vento solare
Il vento solare è un gas sottile di particelle atomiche elettricamente cariche – elettroni di carica elettrica negativa e ioni (principalmente protoni) con carica elettrica positiva – che costantemente soffia dalla superficie solare verso lo spazio. Dato che la Luna è solo leggermente inclinata rispetto al Sole, il ventosolare scorre quasi orizzontalmente sopra la superficie lunare aipoli e lungo la regione che divide la notte dal giorno lunare, chiamata terminatore.
I ricercatori hanno creato simulazioni al computer per scoprire cosa succede quando il vento solare fluisce oltre i bordi dei crateri polari.
Hanno scoperto che in qualche modo, il vento solare si comporta come il vento sulla Terra. A differenza del vento sulla Terra, la composizione duale elettrone-ione del vento solare può creare una insolita carica elettrica sul lato della montagna o la parete del cratere, cioè sul lato esposto direttamente al vento solare.
Poiché gli elettroni sono più di 1000 volte più leggeri degli ioni, di fronte ad un’ostacolo
si fermano in zone diverse rispetto agli ioni più pesanti creando così una regione con carica elettrica negativa, ad esempio all’interno di un cratere. Gli ioni positivi tendono poi a ridistribuirsi cancellando la carica, ma il flusso costante di elettroni è sufficientemente elevato da mantenere il differenziale di carica impossibile da annullare nelle regioni polari.
Questo squilibrio nel cratere permette alle pareti interne e il fondo di questo di acquisire una carica elettrica negativa. Icalcoli mostrano che l’effetto di separazione ionica è più grande sul bordo sottovento dei crateri (lungo la parete interna) e sul fondo del cratere più vicino al flusso delvento solare. Lungo il bordo interno, gli ioni pesanti hanno più difficoltà a  rimanere sulla superficie.
Gli elettroni formano una nube elettronica che va dal bordo sottovento della parete al fondo del cratere, che può creare una carica insolitamente negativa di grandi dimensioni di alcune centinaia di volt relativi al vento solare che scorre sopra di esse” spiega Farrell.
La carica negativa su questo bordo sottovento non esiste  per un tempo indeterminato. Alla fine, l’attrazione tra la regione di carica negativa e gli ioni positivi nel vento solare provocherà l’annullamento del potenziale elettrico. Il team ritiene che un possibile metodo veda protagonista la polvere caricata negativamente che viene respinta dalla superficie con carica anch’essa negativa, ottenendo quindi un effetto di levitazione elettrica di polvere dal fondo.
Gene Cernan mentre effettua
una passeggiata lunare.
Gli astronauti delle missioni Apollo in orbita hanno visto i raggi deboli sull’orizzonte lunare durante l’alba che avrebbe potuto essere luce diffusa da polvere elettricamente carica” ha dichiarato Farrell Inoltre, la missione Apollo 17 atterrò nei pressi del cratere Littrow dell’omonima valle Taurus-Littrow nel Mare della Serenità. Gli strumenti lasciati dagli astronauti dell’Apollo hanno rilevato impatti da polvere ai valichi di terminazione, dove il vento solare è quasi-orizzontale, simile alla situazione sopra crateri polari “.
I prossimi passi per la squadra includono modelli di computer più complessi.
Vogliamo sviluppare un modello completamente tridimensionale per esaminare gli effetti di espansione vento solare intorno ai bordi di una montagna. Esaminiamo ora l’espansione verticale, ma vogliamo sapere anche cosa succede in orizzontale”  ha detto Farrell.
Già nel 2012  la NASA lancerà il Lunar Atmosphere and Dust Environment Explorer (LADEE), una missione in orbita lunare che potrebbe cercare i flussi di polvere previsti dalla ricerca del team.

Questo lavoro è uno studio del Goddard’s Internal Research and Development program della NASA e della NASA Lunar Science Institute. Il team comprende  ricercatori della NASA Goddard, l’Università della California,Berkeley e l’Università del  Maryland.
[1]  Dream: Dynamic Response of the Environment at the Moon

in ricordo di Dorothy Height

Si è spenta ieri, 20 aprile 2010, Dorothy Height, nata nell’ormai lontano 24 marzo 1912.
Essa è una delle tante donne coraggiose di questo mondo, una delle figure a cui tutta l’umanità è in debito per il suo contributo alla libertà e ai diritti civili, che ha combattuto un sistema dispotico e razzista come l’apartheid negli Stati Uniti del XX secolo senza armi né violenza ma usando la forza della ragione e le parole come sue uniche armi, sulla strada tracciata da Gandhi e seguita anche da Martin Luther King
La Height lavorò molto nel campo dei diritti civili. 
Nel 1936 a New York partecipò alla protesta contro i linciaggi. Ha lottato per la fine della segregazione nell’esercito, per un sistema giuridico più equo, e per porre fine alle restrizionirazziali in materia di accesso ai mezzi di trasporto pubblici. Nel corso del 1950, ha lavorato sui diritti di voto nel sud degli Stati Uniti.
A partire dal 1960, la Height fu esponente di spicco nel movimento dei diritti civili. Ha lavorato a stretto contatto con i leader principali del movimento,tra cui Roy Wilkins, Whitney Young, e A. Philip Randolph, e hapartecipato a quasi tutte le principali manifestazioni sui diritti civili e umani di quel periodo.
Nel 1964 avviò il programma “Mercoledì nel Mississippi“, in cui gruppi di attiviste femminili interraziali e interreligiosi del nord e del sud del paese, si incontravano i mercoledì nellepiccole città del Mississippi,  creando anche scandalo e riprovazione tra i benpensanti. Uno di questi incontri tenutisi in una chiesa di Hattiesburg,  si risolse quasi in tragedia dopo che qualcuno lanciò una bomba incendiaria attraverso la finestra della chiesa ma che per fortuna non esplose.
Molti personaggi politici americani tra cui la First Lady Eleanor Roosevelt ricevette i suoi consigli, la Height incoraggiò il presidente Dwight D. Eisenhower ad eliminare la segregazione razziale nelle scuole americane e il presidente Lyndon B. Johnson a nominare donne afro-americane nelle posizioni del governo.
Purtroppo il lavoro della Height non ha mai avuto l’attenzione che si meritava, forse perché il movimento è stato dominato dalle figure maschili. Ma di questo lei disse una volta nel 1998:
 “Se ti preoccupi di ottenere credito, non fai molto lavoro”.

Vulcani protagonisti della Storia

In questi giorni tutti parlano della poderosa eruzione del vulcano islandese Eyjafjallajökull (per  chi non conosce l’islandese si pronuncia ay-yah-fyah’-plah-yer-kuh-duhl) e delle conseguenze economiche legate allo stop dei voli sui cieli d’Europa conseguenti alla nube di cenere e zolfo emessi; pochi sanno invece di quanto possano essere importanti le conseguenze geopolitiche di un’eruzione vulcanica.

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A sinistra l’immagine  del Vulcano Eyjafjallajökull ripreso
in luce visibile e a destra nell’infrarosso il 17 aprile 2010
dallo strumento Hiperion a bordo del NASA Earth Observing-1
Crediti: NASA/JPL/EO-1 missione EO-1/GSGC/Ashley Davis

Per otto mesi il gruppo vulcanico Laki situato nel sud dell’Islanda eruttò lava e gas velenosi dall’8 giugno 1783 al febbraio 1784, devastando l’agricoltura dell’isola e la sua economia. Si stima che circa un quarto della  popolazione sia morta per l’ondata di carestia susseguente.

Allora, come oggi, gli effetti dell’eruzione più importanti furono quelli su vasta scala. In Norvegia, Paesi Bassi, le Isole Britanniche, Francia, Germania, Italia, Spagna, in Nord America finanche in Egitto, l’eruzione del Laki ebbe le sue conseguenze, come la nebbia di polvere e particelle di zolfo rilasciate dal vulcano su gran parte dell’emisfero settentrionale.
Le navi rimasero ormeggiate nei porti per molti giorni a causa dei banchi di nebbia. Le colture agricole furono colpite dalle conseguenze del fall-out dell’eruzione continua che coincise (o ne fu l’effetto) con un’estate insolitamente calda. Un pastore, il reverendo Sir John Cullum, scrisse alla Royal Society che le coltivazioni di orzo «sono diventate marrone e appassite … così come le foglie di avena, la segale ha l’aspetto di essere ammuffita».
Il naturalista britannico Gilbert White descrisse nella sua Storia Naturale di Selborne l’estate come «incredibile e portentosa… la foschia peculiare, o nebbia fumosa, che ha prevalso per molte settimane in questa isola, e in ogni parte d’Europa, e anche oltre i suoi limiti, è stato un aspetto più straordinario, a differenza di qualsiasi cosa conosciuta a memoria d’uomo.
Il sole, a mezzogiorno sembra vuoto come una luna offuscata e getta una luce color ruggine ferruginosa a terra… ma è particolarmente lurido e color sangue al sorgere e tramontare. Allo stesso tempo il calore è così intenso che la carne da macello non può essere mangiata il giorno dopo che è stata uccisa e le mosche sciamano così nei vicoli e le siepi che rendono i cavalli frenetici… la gente di campagna ha cominciato a guardare con un timore superstizioso al rosso, lurido aspetto del sole».
Sembra quasi che il curato White descriva l’Inferno o perlomeno uno degli incubi peggiori.
Dall’altra parte dell’Atlantico, Benjamin Franklin scrisse di «una nebbia costante per tutta l’Europa, e gran parte del Nord America».
In contrapposizione all’estate particolarmente torrida, l’inverno successivo fu insolitamente duro, con conseguente allagamento primaverile mietendo ancora più vite. In America, il Mississippi congelò a New Orleans.
Si suppone che l’eruzione abbia interrotto il ciclo dei monsoni asiatici, provocando un’ondata di carestia in Egitto. Alcuni storici ambientali hanno inoltre sottolineato come le disfunzioni nelle economie del Nord Europa, come la povertà alimentare sia stata un fattore importante nella Rivoluzione Francese del 1789.
Quindi non è solo il blocco dei voli in Europa a preoccuparmi, ma le conseguenze climatiche che si vedranno a partire nei prossimi mesi e ribadisco ancora una volta di più, come già accennai nell’altro mio articolo Meteorologia e riscaldamento globale, che l’idea del premio Nobel Crutzen di inondare la stratosfera con lo zolfo, che pare il vulcano abbia esaudito, sia stupida, appunto per le capacità chimiche che ha lo zolfo nell’intaccare la fascia di ozono del pianeta che per le piogge acide che potrebbero devastare  l’economia agricola di un intero continente.

Biliardo cosmico

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rappresentazione grafica
dell’orbita di un pianeta extrasolare
come descritto nell’articolo
La recente scoperta di altri 9 pianeti extrasolari è stata annunciata il 13 aprile 2010 al RAS National Astronomy Meeting 2010 a Glasgow in Scozia: questi sono stati individuati attraverso l’analisi fotometrica della luce delle loro stelle, ovvero attraverso l’attenuazione della curva di luce della stella nel momento di transito del pianeta davanti al disco di questa. Quello che ha sconcertato l’intero mondo accademico è quando si è scoperto che l’orbita di 6 pianeti di un campione più ampio di 27 è retrograda, ossia essi ruotano in orbite di senso contrario alla rotazione della loro stella, il contrario di quello che avviene per il nostro sistema solare e quello che le teorie di formazione planetaria ci avevano da sempre suggerito. Si è sempre teorizzato che i pianeti si formino dal residuo di gas e polveri che danno origine alle stelle formando un disco proto-planetario che ruota nello stesso senso e che ha lo stesso piano dell’equatore della stella come è il caso per i pianeti del sistema solare.

Ecco come si modifica la
curva di luce nel periodo di transito

Dopo la rilevazione iniziale dei nove pianeti extrasolari (in tutto ad oggi sono 452 i pianeti scoperti) con il grandangolo per la ricerca dei pianeti (SuperWASP [1]), il team di astronomi ha utilizzato il spettrografo HARPS  (un altro acronimo che sta per High Accuracy Radial velocity Planet Searcher) sul telescopio ESO di 3,6 metri, presso l’osservatorio di La Silla in Cile, insieme con i dati del telescopio svizzero Eulero, anche questo a La Silla, e i dati provenienti da altri telescopi per confermare le scoperte e studiare i pianeti extrasolari in transito. Sorprendentemente, quando la squadra ha combinato i nuovi dati con le altre osservazioni di altri pianeti di transito hanno scoperto che più della metà di tutti i pianeti gioviani caldi hanno orbite che non sono allineate con l’asse di rotazione delle loro stelle madre e che addirittura sei pianeti extrasolari in questo studio esteso (di cui due delle nuove scoperte) hanno moto retrogrado: ossia hanno la loro orbita nella direzione “sbagliata”.
“I nuovi risultati sembrano contraddire il pensiero convenzionale che le orbite dei pianeti seguano sempre la stessa direzione della rotazione delle loro stelle”, spiega Andrew Cameron dell’Università di St Andrews al meeting.
Nei 15 anni trascorsi dalle prime scoperte degli esopianeti gioviani, questi si sono dimostrati un bel grattacapo difficile da comprendere e da spiegare. Si tratta di pianeti con massa simile o superiore a quella di Giove, ma con un orbita molto vicina alle loro stelle, fatto questo che li rende maggiormente individuabili grazie alla maggiore ampiezza degli effetti prodotti sulla stella principale e sicuramente per questo motivo sono anche gli unici individuati finora. Si suppone che i pianeti giganti del nostro sistema solare  si siano formati dove le condizioni ambientali lo consentissero, ossia nella parte più esterna e fredda del sistema planetario  e così si pensava che questo principio potesse valere anche per i sistemi extrasolari. Quindi l’esistenza di pianeti gioviani in orbita stretta veniva spiegata facendoli formare lontano dalla loro stella e successivamente fatti migrare verso l’interno in orbite molto più vicine alla stella madre con lo stesso principio del decadimento orbitale che porta a cadere i nostri satelliti, ovvero subiscono un rallentamento del moto orbitale per colpa del residuo di polvere proto planetaria ancora non collassata in pianeti e non soffiata via dal vento stellare. Questo scenario dovrebbe durare appena qualche milione di anni e produrrebbe un’orbita allineata con l’asse di rotazione della stella madre e consentirebbe inoltre la formazione in seguito di pianeti rocciosi simili alla Terra, ma purtroppo questa teoria non può ancora essere spiegata con le nuove osservazioni.
Per tener conto dell’esistenza degli esopianeti retrogradi è stata formulata una teoria alternativa della migrazione che propone che la vicinanza di pianeti gioviani caldi alle loro stelle non è dovuta alle interazioni con il disco di polvere, ma che avvenga per un processo di interazione gravitazionale molto lento dovuto dalla presenza di altri pianeti giganti più lontani o un passaggio ravvicinato con un’altra stella per la durata di centinaia di milioni di anni. Praticamente questi disturbi avrebbero impresso al pianeta gioviano extrasolare un’orbita inclinata e allungata che poi per azione mareale sarebbe costretta a perdere energia ogni volta che oscilla vicino alla stella; il risultato poi sarebbe un’orbita circolare stretta, ma inclinata in modo casuale.
“Un drammatico effetto collaterale di questo processo è che eliminerebbe ogni altro più piccolo pianeta simile alla Terra in questi sistemi”, spiega Didier Queloz dell’Osservatorio di Ginevra.
Sembra che per due dei pianeti retrogradi scoperti di recente siano già stati trovati pianeti compagni più lontani, confermando questa teoria, anche se comunque sarà necessaria una nuova campagna di indagine specifica.


[1] Curioso come alcuni giornali copino spudoratamente sigle a loro sconosciute: come infatti riportato da alcuni giornali lo strumento non si chiama WASP, acronimo di ben qualcos’altro, ma SuperWASP appunto per distinguerlo e al contempo mantenere la passione anglofona per gli acronimi.
[2] Per confermare la scoperta e studiare le caratteristiche di un nuovo pianeta in transito, è necessario analizzare la velocità radiale per rilevare il tremolio della stella ospite attorno al suo comune centro di massa con il pianeta. Questo viene fatto con una rete mondiale di telescopi dotati di spettrometri sensibili

Fotovoltaico migliore con semiconduttori polimerici

Gli investimenti nella ricerca sono importanti sia per la scienza che per l’economia: ogni euro speso in questa può portarne cento in termini di sviluppo e occupazione. I paesi che oggi giustamente investono in istruzione e ricerca sono  quelli che domani potranno godere del loro sacrificio iniziale, gli altri, come il caso italiano, saranno costretti a pagare i brevetti stranieri per poter usare queste conoscenze con grave danno per la bilancia commerciale e l’economia nazionale.

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Pannello fotovoltaico tradizionale [1]
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Yueh-Lin (Lynn) Loo

Uno dei più gravi ostacoli allo sfruttamento dell’energia fotovoltaica è nell’elevato costo dei semiconduttori all’ossido di stagno/indio su wafer di silicio impiegati nella produzione delle celle fotovoltaiche. Oltretutto la tecnologia attuale offre tutta una serie di problemi che vanno dall’alta percentuale di scarto dovuta ai difetti di produzione fino alla rigidità e alla fragilità di queste celle che ne rendono alti i costi di produzione e quindi di tutta la filiera successiva, che uniti a una efficienza media dell’ordine dell’ordine del 20% solo in condizioni ottimali, rendono l’investimento nel fotovoltaico appetibile solo attraverso incentivi statali a sostegno di questa comunque interessante tecnologia.

plasticky[1]
la struttura del semiconduttore
polimerico [2]
Ma le cose per fortuna stanno per cambiare: all’università di Princeton la ricercatrice Yueh-Lin Loo ha trovato il modo per depositare polimeri conduttori su film di plastica e contemporaneamente mantenere tutte le caratteristiche vantaggiose della stessa, ossia trasparenza, resistenza e flessibilità, migliorandone l’efficienza di almeno due ordini di grandezza . Sono stati usati materiali come  la polianilina ottenendo una conducibilità elettrica superiore a 50 S/cm e addirittura di 250 S/cm con il poly(3,4-ethylene dioxythiophene).
Questi polimeri conduttori disciolti in acido dicloroacetico, che  in genere sono difficili da lavorare, possono essere depositati dalla soluzione e la loro conducibilità successivamente migliorata attraverso un semplice e lineare processo di ricottura solvente 1
Questa nuova tecnologia non solo apre le porte a una nuova tecnica fotovoltaica, ma trova interessanti applicazioni nella medicina analitica e in tutti gli altri campi dove l’elettronica dei semiconduttori unita ai vantaggi delle materie plastiche possa trarre vantaggio.